il talent scout della memoria
07/04/2006
Piange a un certo punto Michele Perriera, nel documentario realizzato da Nosrat Panahi Nejad. Lo scrittore e regista palermitano è seduto su una sedia, in riva al mare, all’ Arenella, nello stesso punto in cui da bambino si metteva a osservare le onde e a immaginare i suoi primi personaggi teatrali. Piange, Perriera, perché è felice di riavvolgere la pellicola dei ricordi, di rivivere emozioni di un tempo che sembra ormai lontanissimo, inafferrabile. Piange perché, paradossalmente, l’ autore del “Signor X” si trova in una sorta di condizione postuma, sentendosi una sorta di sopravvissuto a se stesso. Il film in questione si intitola “Michele Perriera. Frammenti di un romanzo d’ amore”, e rappresenta l’ ultima tappa di un percorso di conoscenza, riscoperta, valorizzazione delle manifestazioni di punta della cultura siciliana, intrapreso con passione e competenza dall’ iraniano Nosrat Panahi Nejad. Cosa che dovrebbe di certo far riflettere: come se, a Palermo, riappropriarsi della memoria storica, portare alla luce i fiumi carsici di un patrimonio di conoscenze dannato all’ oblio, fosse possibile soltanto a chi palermitano non è. Nato a Ahwaz (Iran) nel 1953, Nosrat si diploma in fotografia presso l’ Istituto europeo di Design di Milano nel 1979, per poi laurearsi otto anni dopo a Bologna, in Storia del cinema, con una tesi sul “Visivo nell’ opera cinematografica di Carmelo Bene”. Nel 1991 mette piede per la prima volta a Palermo, rimanendo visceralmente legato al capoluogo siciliano, tanto da trasferirvisi. Inizia così la sua avventura isolana: il primo campo d’ interesse è quello della cultura materiale dei mestieri locali, nella fattispecie quello dei pupari. Fin da ora, Nosrat si muove come chi si trova di fronte a qualcosa che da un momento all’ altro può sparire per sempre, inghiottito dalla dimenticanza o peggio dall’ indifferenza. E così, assieme a Mimmo Cuticchio, dà forma alla mostra “Riparazione di Orlando” (1994), che dà conto di tutte le fasi del processo produttivo dello spettacolo dei pupi, seguendo però una trama immaginaria, che travalica l’ intento documentario. Dalla costola di questo progetto nasce poi un seminario sulla cultura materiale siciliana organizzato dal Dipartimento Musica e spettacolo dell’ università di Bologna. «Per la prima volta – spiega Nosrat – l’ opera dei pupi approdava nella città emiliana. L’ iniziativa durò tre giorni, con la partecipazione massiccia di studenti e docenti». C’ è sin da ora in Nosrat una sorta di impeto pionieristico, che lo spinge a rivolgere la sua attenzione anche alla valorizzazione di materiali, documenti, veri e propri reperti che riguardano i fotografi mestieranti tra Otto e Novecento a Palermo. Dalle indagini stratigrafiche di Nosrat, viene fuori un passato solido e vitale, ricco di una spiazzante molteplicità di esperienze che vanno dalla ritrattistica in studio alla fotografia industriale, passando per la cronaca nera. Vede così la luce “Loggia fotografica Seffer (1860-1970)” (nel ‘ 96): «Nella Palermo di fine Ottocento – racconta Nosrat – l’ arte fotografica era oramai diffusa e in particolare la scena cittadina era dominata dal binomio Incorpora e Interguglielmi. Solo più tardi riuscì a inserirsi Enrico Seffer, il quale rubò l’ immagine all’ aristocrazia per darla alla gente comune». Il ritratto fotografico, in poche parole, viene democratizzato. Passa appena un anno ed è la volta di Eugenio Bronzetti, al quale l’ iraniano dedica una mostra allestita a Villa Trabia, accompagnata dalla pubblicazione di un volume che raccoglie le foto esposte, arricchito da una conversazione col fotografo palermitano, il quale prende per mano l’ intervistatore e lo introduce nel suo laboratorio, nell’ officina reale e in quella della memoria. Nel 1994 aveva visto la luce, per Ila Palma, “Il Gattopardo visto da Nicola Scafidi”, con la postfazione di Goffredo Fofi. Il volumetto dava conto del servizio realizzato dal fotografo palermitano durante la lavorazione del film di Luchino Visconti. Servizio caratterizzato dalla scelta del campo lungo col quale Scafidi aveva ripreso l’ insieme di attori, comparse, tecnici. Siamo distanti dal tentativo di «letteralizzazione o ideologizzazione del set cinematografico», come spiega Nosrat nella prefazione, ma al contrario ci si trova innanzi all’ affermazione «di una distanza da tutto ciò, mediante l’ assoluta priorità del marginale». Un “Gattopardo”, dunque, visto dal basso. Dall’ immagine fotografica, a un certo punto però Nosrat passa alla pittura, realizzando un documentario su Renato Tosini, per dedicarsi poi anima e corpo alla letteratura, inventandosi, assieme a Maria Pizzuto, i Quaderni pizzutiani, e realizzando un video dedicato all’ autore di “Si riparano bambole” (nel 1997), in un periodo in cui a Palermo di Pizzuto si era persa quasi completamente memoria. Facendo dell’ immagine una sorta di ininterrotto flusso di coscienza alla Joyce, Nosrat dà vita a una efficacissima scrittura videomatica, messa a servizio anche di Gesualdo Bufalino (2005). Ma va detto che c’ è pure un documentario in fase di completamento sul musicista palermitano avanguardista Federico Incardona. Una mole impressionante di lavoro, quella messa in piedi in questi anni da Nosrat, che è anche un omaggio (generoso) a una città (spesso ingenerosa) che quasi sempre tarda a riconoscere le sue muse.