Quaderni Pizzutiani – 12/13
Alda Capodaglio
DONNE DI NOZZE A ROMA
Saggio critico su
Li nuptiali
di Marco Antonio Altieri
di Maria Pizzuto
Quando Milena Ariani e la sua Fiòla Ald, a Roma, (nel periodo autunnale in cui si formavano le compagnie teatrali), erano entrambe ospiti da me, qui, nella casa che Alda aveva soprannominato: L’Abazia. Una innata inclinazione all’ironia, tutta goldoniana – come dire, insita nella natura dei veneziani – subentrava allora fra noi tre, a seconda delle caratteristiche nostre personali; Il vezzo dei soprannomi:Talmente presi sul serio e, sentiti nel cuore, da divenire amorevole reinterpretazione di noi stesse. Vero e proprio amorevole novo, battesimo. Per la giovanissimo Alda – allora studentessa e laureanda in lettere -, io ero l’autorevole Abate e lei, il Discepolo (e, ancora oggi il giuoco seguita a coinvolgerci come una nostra seconda natura). Eravamo affascinate da un amor cortese d’estrazione tardo medievale, cui non estranea tal certa propensione per un misticismo, (alla Umberto Eco, nei confronti d’una vita monastica, pervasa d’intellettualità, di attenzione alla scriptura; nel culto vissute d’un alimentazione vegetariana cui – alterni – cicli d’intensiva mediazione). L’abate, per Alda rappresentava l’auctoritas di una saggezza, connaturata; un abate per, “antonomasia” dal quale attingere consigli: Che cosa mi metto per andare alla riunione? Quale girono, secondo te, è più propizio per la partenza? Tutto un chiedermi sempre: Dammi dei consigli. Te ne prego dammi un consiglio tu e, benedicimi. E, a questo punto non era più soltanto un giuoco: L’Alda, aveva fede in me. Percepivo ciò e, Dio santo, mi coinvolgeva in una responsabilità (tutta interiore), nei suoi confronti. Graditissimo impegno, dunque per me benedirla; bene augurando alle sue aspirazioni, ai suoi sogni, alla sua crescita – tesa alla verità – il migliore compimento: E provavo verso i suoi ingenui slanci una tenerezza, viva e vitale che certo le mie dita effondevano sulla di lei fronte mentre, sollecite, vi tracciavano un ideale segno di croce: Quella croce, attraverso le sue polarità verticali e orizzontali suscitava certo, nel loro reciproco centrale punto d’incontro l’eccezionale impulso a una, manifestazione eccellente.
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Mamma Milena, quando ci conoscemmo, era già: la Piviotto, (nome di un personaggio da lei interpretato, con virtù di mammissima): Riesame dunque la Piviotto tout-court: Zitta, sentiamo cosa sta dicendo la Piviotto. Che fai di là tutta sola, Piviotto? Ti vogliono al telefono, Piviotto, corri. Era la Piviotto per la Alda?, Piviotto, anche per me.
Ma, se nell’ordine dell’Abazia io ero l’Abate, Milena acquistò il titolo di : Cellario: (Per la sua disponibilità a cucinare pietanze, squisitissime). Di Primo mattino, il Cellario ci riuniva a consiglio. Sovente si trattava di una proposta allettante: Facciamo risi e bisi? Oppure: «Per cominciare oggi il Cellario suggerisce due spaghetti alla Puttanesca» A ogni proposta riceveva un applauso. Si arrivava al minuto e mezzo quando il gran finale annoverava un, tiramisù. Insomma, varietà di ruoli e possibilità di sceglierseli, adeguandovisi: Da brave e consumate attrici, recitavamo con, allegria. E, a fine pasto (c’era in que’ tempi lo spot dell’AmaroAverna), ce ne concedevamo per assaporare: il gusto pieno della vita. La Piviotto spesso poi invitava attori e attrici di prosa, con loro figliuoli, anche registi. La mia casa è spaziosa. Un idraulico, valutandola appena entrato, con un’occhiata, mi fa, in romanesco: A signò, ma qui ce vò er motorino peffà avanti e indrè: Cevò, cevò.
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Nel ricordo di que’ lontani giorni e della schiettezza di quell’amicizia, auspico altrettanta gioia e costruttiva efficienza di quanta venutacene allora: L’auspicio di un consenso unanime da parte di quanti si accosteranno a questo piccolo ma ben nutrito saggio, cui Alda Capodaglio ha dato il titolo «Donne di nozze a Roma».
Per suggerimento di lei, voglio ricordare anche il Prof. Cozzi, dell’università Ca’Foscari di Venezia, che glielo suggerì attraendone l’attenzione su «Li nuptiali» di Marco Antonio Altieri; ciò per meglio esemplificare tal intensa soffusa misoginia nell’opera del Boccaccio, intorno alla quale orientavasi la tesi di laurea della Capodaglio.
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A partire dal tardo Medioevo, trascinandosi durante l’Umanesimo rinascimentale del Quattro – Cinquecento, un atteggiamento in assoluto misogino viene esercitato dal mondo mascolino, interessato a guidare a proprio beneficio la troyka, nelle gelide e desolate regioni dell’umano stato ove non concesso spazio a sentimenti, ritenuti una debolezza indegna per qualunque virile virtus.
Li nuptiali di Marco Antonio Altieri lasciano trasparire questa misoginia attraverso la descrizione – tutta rinascimentale – del protagonismo di un patriziato opulente e accentratore, in Roma.
Li nuptiali significano la preparazione in fieri per stabilire unioni tra famiglie eccellenti onde acquisire potere economico e sociale nell’ambito di una Roma dove, Sancta Madre Chiesa, reclama per sé il consenso dei più validi elettori. Dovendo da siffatte famiglie provenire quell’aristocrazia nera, di nobile estrazione, creatrice e, dante vita a futuri Cardinali e Papi. La sposa va scelta anzitutto nel suo casato per la dote cospicua, per il prestigio che l’accoglienza della stessa, recherà alla famiglia che la trae a sé, figlia e nuora e cognata e quant’altro: Soprattutto, madre di futuri ceppi vitali, socialmente e politicamente intendendosi il prestigio che ne verrà alle singole famiglie, imparentatesi, e, a tutto il clientelato gravitante intorno a queste come pure alla città ospitantele, al papato, del quale figliolanza elettissima.
Se anche bella, cosa di secondaria importanza. Men che mai valendo eventuale sua istruzione: (eccezione fatta per una Vittoria Colonna, colta e nobile signora, forse misantropa, ma non sapremmo darle torto se, indotta a chiusure). L’Altieri, per la verità con piglio di colto uomo rinascimentale, proveniente da nobile famiglia, si accinge alla stesura de «Li nuptiali» all’incirca fra il 1506 e il 1514. Garbatamente ne scrive la Alda Capodaglio ricordando a analizzando il testo alfieriano, nel suo «Donne di nozze a Roma». Nota, la Capodaglio, come non sufficientemente approfondite le ricerche d’epoca per potersi trarre dall’opera una valida testimonianza storica di eventi. Si tratta meramente di usi e costumi, avulsi dal senso di una tradictio in sacer. Avviene una scelta. Si stipulano contratti di nozze. Lo sposo presenta i suoi doni. La futura sposa li accoglie (i doni, ma pur lui, che diamine), con tollerante sacrificale sopportazione. Se bello lui, almeno la consolazione di vederselo invidiare da nubende in attesa o, da deluse mogli. E l’acuto sguardo dello scrittore governa l’ironia, sfumandola, latente in innumerevoli faccettature dove la sposa vista con occhio misogino è una via di mezzo tra schiava sottomessa, moglie lavoratrice al governo della casa, madre dedicata a propria prole, moglie , ben poco conta se, soddisfatta o, meno. Qualche sforzo di tenerezza, concessole, (ma difficile stabilire se per sua sponte, o dal curatore della corrispondenza), che gliene ammannisce esemplari campionature. Come la lettera allo sposo di Isabella d’Este «a tutte le feste io preferisco la presenza di V.S., insieme al nostro puttino». Amore materno, desiderio coniugale o, non piuttosto fantasia – misogina, volendolo, d’un elaboratore d’epistole? Francesco Brandileone nel suo libro: «Saggi sulla storia della celebrazione matrimoniale in Italia», concorda con la Capodaglio quanto a carenza di informazioni estesamente concrete, tanto da rendere il testo una testimonianza autentica di costume e di fede. Né, nell’epoca altieriana, in essere uno studio metodico e completo in ogni sua parte e, su ogni specie di punti di vista: (In questo caso il Brandileone farebbe riferimento, in particolare, alla legislazione ecclesiastica provinciale), per aver una indagine concreta esaustiva del matrimonio come storia culturale, affondo sviscerata.
Li nuptiali di Marco Antonio Altieri discettano argomentazioni, variegate intorno agli usi matrimoniali instauratisi tali, (pur sempre da prendere con la dovuta circospezione parametri essendo impossibili), attraverso la scrittura di un umanista, rinascimentale.
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Come frutto delle predette implicazioni culturali, (da tenere sempre presenti) la scrittura Li nuptiali ne resta inficiata non avendo sufficienti opportunità a sviscerare nella totalità l’argomento del rituale nella sua accezione sacramentale. Vi si avverte però un’attenzione ai miti (che di per sé sono testimonianza di un valore tradizionale) da attribuire, anche dal punto di vista delle più disparate religioni, alle umanità passate presenti e future, dell’intero pianeta Terra.
Ci viene dunque data una sintesi che tuttavia, in concreto, non si arroga diritto a pronunziarsi con certezza inconcutibili. Ciò , a nostro avviso denota tutto il rispetto dell’uomo di cultura, capace di sacrificare azzardate conclusioni ove non in possesso di dati con dovuto rigore in condizione d’essere coordinati. Per questo Li nuptiali sono già testimonianza di una indagine critica dalla quale trae vita il mondo moderno. L’autore, con parsimoniosa ma con geniale vivacità ci offre una realtà umana della Roma dov’egli vive: Condividendola, con famiglie aristocratiche, popolo minuto, gerarchie della Romana Chiesa Cattolica Apostolica. Intuibili fra le righe fors’ anco dissensi. Ma l’Altieri si sottomette ubbidiente al suo rappresentativo ruolo di Defensor fidei; (memore forse di tante, troppe damnatio, insorte nei confronti di pensatori illustri, perseguiti fino alla determinata punizione terminale o, privati di lor personalità giuridica e sociale attraverso il terribile pubblico pronunziamento della scomunica). E, non foss’altro, accostarsi all’Altieri è fonte di godimento letterario senza fine; offre egli, all’appassionato di linguistica il felice impasto di una intelligente grammaticalizzazione: Costruitasi attraverso l’attento studio di testi latini e la dimestichezza con la sintaxi delle grandi lingue sacre. In tempo reale (il suo tempo), l’Altieri s’industria a una capillare testimonianza di fatti, ed essendone a conoscenza, descrive gli usi matrimoniali a lui noti e lascia intuire come la Chiesa di Roma attui, nell’ordine dei riti una sua politica di controllo sui rapporti sessuali degli sposi e, sul senso da darsi al matrimonio: Intendendolo più che come re medium concupiscientiae, il modo per ottenere al mondo cattolico un «numeroso popolo di figliuoli». Contraddistingue quest’opera dell’Altieri una spiccata caratteristica di documentazione, (neanche tanto approssimativa se non per quei comitati di consulenza scientifica pianificatori entro schemi predisposti il fluxo spontaneo della vita).
Su: Li nuptiali incontriamo la vita del Rinascimento. Le belle fantesche cui il signore non disdegna di palpare le forme mentre transitano recando piatti di portata agli ospiti. Vi si accenna a tutto, i doni alla sposa da parte del marito: Bracciali e anelli alle orecchie che stanno a simbolizzare la sua situazione di schiava incatenata e, privata proprietà dell’uomo. La cintura della virtù, pur preziosa adesso, fatta di seta e splendida, ricorda però l’orrendo marchingegno medioevale attinente alla castità. A guardare bene, una sorta di ordine tradizionale affiora qui e là da questi appunti. Ma la dimenticanza delle cause stesse – in sé per sé valide – ne rende quasi impossibile la decifrazione. Sentiamo la presenza d’ogni trascorsa cosa, sommersa nella pletora di proibizioni virtuose, di concessioni sballate: Dal punto di vista maschile, orientata verso abusi secolari. Dell’essenza sacrale, della transumanante comunione d’essere uno in due o due in uno, del sacro rituale, sottoposto al volere di scelta degli sposi, affidati all’officiante, non una traccia in questi Nuptiali. Più forte, è il frastuono della festa, la modestia della sposa, il compiacimento dello sposo, fatti obiettivo di motti salaci immancabili e, di fescennina memoria. C’è il popolo a giudicare. Esso giudica l’opulenza e a questa si tiene stretto quanto più possibile. L’apparato istituzionale e rituale è sovente, molto più lento da recepire. Soprattutto inadatto a tramutare spinte etiche e morali in leggi dalla precisa, formulazione. La sfera sociale pur nella sua fondamentale emotività, resta impedita di fronte a quei sistemi, più lenti a recepire l’impatto del necessario cambiamento.
La famiglia degli Altieri è legata sin dal Medioevo alla vita cittadina di Roma ed è ricchissima di tenute e di greggi. Di maggiore spicco letterario, la persona di Marco Antonio, che vede la luce nel 1457 e mancherà al mondo nel 1537 – autore de Li Nuptiali. Dovremo arrivare a Gianbattista il Vecchio (1589-1654); egli fu vescovo di Camerino e di Todi e Cardinale nel 1634 e, fu lui appunto che fece costruire il grande palazzo in Roma: Palazzo Altieri a Piazza del Gesù. Il fratello, Emilio Bonaventura ascese al trono di Pietro col nome di Clemente X e, per evitare la scomparsa del Casato adottò Gaspare Albertoni, marito di sua nipote Laura Caterina nonché il padre di lui Angelo e in più lo zio dello stesso Albertoni, Cardinale Paluzzo. Questi fu il vero fondatore della potenza e della ricchezza degli Altieri: Principi di Oriolo e Viano (1672)1
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Il casato conta ben quattro Cardinali che coprono l’arco di due secoli di storia. Fino al 1849 quando, per mano del Cardinale Lodovico, ebbe luogo il tentativo di agevolare il ritorno a Roma diPio IX.
1) Dal diz. Enciclop. Treccani – anno 1970 – Tomo 1 pag. 324 (alla voce: Altieri)
Si può ben dire che l’epoca rinascimentale, dopo premesse medievali, è quella nella quale si prefigura un autentico riscatto della condizione femminile oppressa dalla misoginia. Nel 1523, Erasmo da Rotterdam nei suoi “Colloqui” parla della educazione della moglie (ossia di quella preparazione al ruolo di moglie nel modo di poter giovare ai matrimoni delle famiglie che contano). Questo argomento sarà il punto centrale di un’opera di Juan Vivas: De institutione foeminae cristianae. Il nuovo punto di vista, per la sua stessa originalità darà vita in quell’epoca a una serie fortunata: «Domestic conduet Books». Nella considerazione del mondo occidentale inizia ad assurgere la importante necessità di riconsiderare il problema della istruzione femminile: La questione tuttavia è affrontata con le dovute cautele non potendosi troppo palesemente scavalcare certi tradizionalismi di principi, all’epoca vera e propria plètora di inveterate abitudini mentali misogine. Taluni diritti maschilisti da secoli acquisiti, fanno del loro meglio per impedire un concreto cambiamento in favore delle mulieres. Ammantati di moralismi gridano allo scandalo per il tentato scardinamento di quei valori da sempre amministrati dal Pater familias. Eredità questa del Medioevo che il rinascimentale impegno di Marco Antonio Altieri, raccoglie ne Li nuptiali.
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Se, da un punto di vista esteriore, il Medioevo si era rifiutato di accordare attenzione e fiducia alla questione femminile – perseguitando anzi la donna come strega e adultera – , negandole nella società del suo tempo l’appannaggio di compagna dell’uomo (volendola anzi soprattutto schiava di lui dal punto di vista di ogni pratico e materialistico aspetto nell’ambito della condizione familiare); Se ella sembrò quanto mai soggetta alle esigenze di una società maschilista, non si può del tutto ignorare che risale a quell’evo l’intuizione di considerare il femminile status di là da convenutisi parametri maschilisti.
Intuisce il Medioevo quali e quanti tesori di tenerezza, di sublimità, di dignità possono albergare in questa compagna di vita posta a fianco dell’uomo da una tradizione sacrale: «Li creò maschio e femmina, li chiamò uomo».
«Tra i fedeli d’amore», fu in atto un totale rispetto e una vera e propria dedicazione alla donna angelicata: La compagna spirituale del cortese cavaliere trovadore di romanza memoria. In lei identificata la divina, complementare controparte della spiritualità dello stato umano. Segretamente e con cautelativa circospezione, la donna proprio in quel tempo assurse a una condizione di privilegio. L’uomo accolse di buon grado certezza del fatto essere lei il tesoro più grande da amare, onorare, servire devotamente.
Anche se Leon Battista Alberti, nei libri della famiglia teneva a ripristinare il solito modello cui adeguarsi nella scelta della sposa che: Dovrà essere sana, di robusta costituzione in vista del suo preciso e solo dovere di dare alla luce dei figli: Sottolineando da buon misogino, come solo in ciò adempiendosi, ella potrà essere considerata membro attivo della società del suo tempo.
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Ci piace concludere questo Auspicio, quasi una premessa, nella speranza che per un preciso mistero si è vista la proclamazione alla fine del Dogma di Maria Santissima assunta in cielo, ( e come suo figlio Gesù glorificata con l’ascensione di tutto il suo essere, corporeità compresavi).
È, a S. Bernardo di Chiaravalle, che Dante attribuisce l’inno alla Madre Maria ( prima assai del pronunziamento del Dogma in questione).
Concludo quest’Auspicio – nella certezza che, di là da un evento di buona cultura letteraria esso ci riscatta verso una più intensa visione di uno stato di essere non più vincolante alla triste dimensione di offesi, immersi nell’umiliazione. Aprono la marcia di questa grande folla di esseri dolenti, pellegrini sulla Terra, schiere di donne: Viventi, vissute e morte. Ma la vita salvi quelle che verranno. Se ci impegneremo, possiamo contare su risultati positivi.
Ringrazio a questo punto l’inspiratore di questa estrema riflessione:
Quel Nosrat Panahi Nejad coideatore dei Quaderni Pizzutiani: Le sue immagini su La mano della sposa mi hanno penetrato in modo folgorante per il loro esplicito contenuto. Quella mano. Sempre la stessa. Con la sua fede. Il torcersi e mostrarsi e cercare e (nella disperazione deformandosi) accusare. Contemporaneamente fare richiesta di pietas, mai ancora concessale, davvero. Ma la sta chiedendo la mano della sposa. La sua fede capestro dannandola schiava vittima preventivata, vuole farle credere tale il suo destino. E non illudiamoci su ottenute liberazioni in occidente. Sono in giuoco tutte le donne del mondo; cui riservati orrori e crudeltà verso bimbe, fanciulle, spose con fede, vecchie donne. E’ l’intero universo femminile a soffrire. Prendiamo quella mano con la storia illustrataci da Nosrat. Dolore se ne avverte, paura, tremito: Solitudine soprattutto, così disperata da esprimersi con un rattrappirsi via via dell’arto. Deformazione per un riflesso condizionato di chi, nato per vivere con fede le condizioni inerenti al suo essere, se ne sente amputare, irrimediabilmente.
La società umana così com’è altro non offre ancora alle donne se non danno, paura, dolore e Nosrat ci guida a trarre da questa visione desolante il senso di un cambiamento da attuare nei confronti della femmina dell’uomo planetario: Cui negata ancora la spirituale identificazione, per diritto spettantele.