Nicola Scafidi il fotografo
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Sia lode a…
di
ANDO GIRALDI
Nicola Scafidi è nato a Palermo nel 1925 da un artigiano fotografo. Comincia il mestiere del padre nel 1943, l’anno dello sbarco in Sicilia degli alleati: sono del 1945 i suoi primi servizi sul banditismo e sul separatismo. Da allora è passato mezzo secolo e Scafidi ha fatto il suo mestiere giorno dopo giorno per più di 18.000 giorni. Da questo video che Nosrat Panahi Nejad gli è dedicato si vede che tiene l’archivio ben ordinato ma sempre all’antica, usando al modo di files le scatole vuote delle carte da stampa. Ma la parte migliore dell’informazione necessaria per la ricerca dei dati, si trova nella sua personale memoria. Questo, per i posteri e la storia della fotografia (di quella siciliana Scafidi è quota essenziale), è un limite grosso. La traduzione elettronica dell’archivio Scafidi dovrebbe essere un pubblico impegno, come il salvataggio di una grande opera d’arte. Se esiste a Palermo una Università dove si trovi una cattedra di Informazione e Scienza della Comunicazione, non potrebbe affrontare compito migliore di questo. È suo il ritratto di Salvatore Giuliano, dove si appoggia con gomito al ginocchio e un piede sopra una roccia: un segno famoso come quello del Miliziano di Capa, soprattutto è più vero. Se Scafidi non è altrettanto famoso di Capa, dipende dal fatto che vive e lavora in Sicilia, cioè in un raggio di pochi chilometri, ma in questo suo piccolo habitat Nicola Scafidi ha saputo raccogliere tante splendide immagini, quante ne basterebbero per fare una decina di mostre come quella di Bresson che fa il giro del mondo da oltre vent’anni. Non dico con questo che Capa e Bresson non meritino la loro fama; di un grande fotografo dipendente dalla comunicazione cartacea all’interno di cui produce. Piccoli giornali rimpiccioliscono un grande fotografo: la gloria di Nicola Scafidi ha le misure de L’Ora di Palermo, per il quale Scafidi ha lavorato: un piccolo quotidiano locale della sinistra morto da un pezzo. La gloria di Capa e Bresson ebbe le misure di Life e di Paris Match. È l’ingiustizia della fotografia che di per sé, come “ingrandimento” del fototipo, non esiste. L’ingrandimento fotografico che conta è quello della moltiplicazione del fototipo non sulla carta sensibile alla luce, ma sulla carta dei periodici. Una sola fotografia di un solo fotografo pubblicata su Life, che ai miei tempi tirava otto milioni di copie e raggiungeva duecento milioni di spettatori, come diffusione di informazione vale tutte le fotografie stampate su carte sensibile in un secolo e mezzo, dal principio della “miracolosa invenzione”. Non è una cifra a casaccio: è proprio così. Qualcuno ha scritto che la fotografia gode l’enorme vantaggio di una maggiore socializzazione della pittura. Se questo è vero per l’immagine della fotografia, che è una cosa, è falso per il fotografo, che è un’ altra cosa. Centomila fotografie di un grande fotografo non danno la gloria e il profitto dei cinquecento quadri di un grande pittore. Un eccellente fotografo vive spesso tutta la vita come un pesce in un piccolo acquario: la sua fama può avere solo le dimensioni della sua vasca. Un mediocre fotografo può invece nuotare nel grande mare della pubblicità e diventare un personaggio mondiale. Purtroppo questa è la regola. Sia lode a Nosrat Panahi Nejad e ai collaboratori, per aver prodotto questa cassetta che fa conoscere meglio Nicola Scafidi.
Progresso Fotografico, Febbraio 1996
PANAHI NEJAD
Nicolò Scafidi il fotografo
(1925-2004)
1.1-
Nicolò Scafidi nasce a Palermo nel 1925, figlio d’arte, comincia assai presto, sotto la guida paterna, a fotografare e stampare. Nel 1945, esegue i suoi primi servizi fotografici sul banditismo e sul separatismo in Sicilia. In seguito all’eccidio di Portella della Ginestra realizza un servizio fotografico tra i contadini. Documenta i comizi del 1947 di De Gasperi, Togliatti, Nenni, ecc.. Agli inizi degli anni cinquanta assieme a Federico Allotta, fotografo, inventa la moda della “fotografia allo stadio”. Per 26 anni lavora come fotogiornalista al giornale” L’Ora”, spesso in stretta collaborazione con Mauro De Mauro. Inoltre collabora come fotogiornalista con” L’Unità”, ” La voce della Sicilia”, ” Il Giornale di Sicilia”. Lavora anche come fotografo di scena ad alcuni film tra cui ricordiamo “Il viaggio” di Vittorio De Sica. Di nuovo come fotografo di scena è presente al Teatro Massimo. Qui collabora con Rossellini per la “Giovanna d’Arco”, con Bolognini, con Zeffirelli. Circa 100 sue fotografie realizzate durante ” i giorni di Giuliano” vengono utilizzate come fonte di riferimento per la ricostruzione filmica realizzata da Francesco Rosi per il suo
” Salvatore Giuliano”. Collabora con il giornalista Enzo Biagi per la realizzazione di un documentario sui maghi in Sicilia, siamo agli inizi degli anni 60. Fotografa per la prima volta in modo sistematico le feste religiose e documenta l’avvenimento miracoloso de “La lacrimazione della Madonna di Siracusa”. Durante il terremoto del Belice lavora insieme a Sciascia e a De Mauro.
Per anni è stato corrispondente dell'” Associated press”, dell'”United press” e dell'”Agenzia Italia”. Le sue opere fotografiche sono state pubblicate su riviste italiane e straniere tra cui: “Time”, “Stern”,”Der Spiegel”, “Paris Match”, ecc.
Infine ricordiamo tra tanti riconoscimenti che nel 1968 riceve a Milano il “Premio nazionale fotoreporter”.
Ecco questi sono alcuni dati, solo alcuni, importanti che riguardano l’attività fotografica del nostro autore. Altri elementi conoscitivi che riguardano lo stile del fotografo possono essere ancora ripescati dal periodo giovanile quando predilige di lavorare all’ aperto fuori dallo studio. Infatti, subito dopo la guerra, per invogliare la gente verso la fotografia fa stampare un biglietto pubblicitario il cui testo recita così: Se la gente non viene allo studio noi andiamo dalla gente!
Oppure in un altro biglietto pubblicitario: Siete stati colti in una posa disinvolta e abituale. Potete ritirare la vostra fotografia gratis presso il nostro studio!
Ecco in questi due esempi di pubblicità fotografica, nuova anche per quei tempi, esiste già l’embrione della sua grande produzione all’aperto: strade, mercati, case povere viste dall’ esterno e dall’interno, campagne, volti in lutto sotto il sole .
1.2-
Se Dante Cappellani nel suo essere eclettico testimoniava gli albori della “metropoli”, la Palermo dei Florio, ed era affascinato dallo sconvolgimento dell’ antico assetto urbanistico in preda di una prima e labile trasformazione moderna dandone un’ insuperabile testimonianza nelle sue fotografie urbane, documentando tutto ciò che avviene nella città in termini di costruzione, espansione, traffico antelitteram,ecc.; ebbene Nicolò Scafidi è dentro questa metropoli che indaga. Le sue cronache sono una sorta di vivisezione della mancata realizzazione della metropoli stessa. Egli diventa tra 1946-1968 il migliore testimone della società palermitana, vista dal basso, con tutte le sue contraddizioni, brutture, speranze, arresti. La sua opera oscilla tra una Sicilia postbellica arcaica e gli inizi di una trasformazione problematica mai raggiunta: si tratta nell’insieme di una testimonianza visiva dei dati etno- socio poetici.
2.1-
Fotogenia della Sicilia: se la fotogenia della Sicilia nella sua poliedricità tematica ha generato, inventato, tanti fotografi, il prodotto fotografico non è stato sempre all’ altezza della fotogenia stessa. Pochissimi fotografi siciliani hanno potuto captare l’essenza, la qualità intrinseca di tale fotogenia. Il rischio è enorme: folklore, oppure regionalismo, superficialità nell’affrontare argomenti seri i quali spaziano dalla povertà alla cronaca nera, dalla religiosità alla permanenza dell’ antico nell’ attuale.
Ebbene Nicolò Scafidi è uno dei pochi, anzi pochissimi fotografi siciliani che è riuscito a non essere ne‚ folcloristico ne‚ superficiale.
2.2-
L‘azione del fotografare e il passato: sovente a proposito delle opere fotografiche dei grandi fotografi del passato emerge prepotentemente la categoria della Memoria, recupero della Memoria. Occorre sfatare questo concetto qualora fosse – e quasi sempre si indaga sulle fotografie in termini di una lettura nostalgica o antropologica- l’ unico parametro conoscitivo ritenuto valido.
La fotografia non è la Memoria del Passato. La Fotografia rende, trasforma anticipatamente il presente in Memoria.
Immaginiamo il fotografo Nicolò Scafidi un giorno qualsiasi di un anno del decennio cinquanta che molto presto si alza e va al mercato ortofrutticolo di Palermo. Egli osserva il luogo, le persone, le cose, la condizione della luce, i costumi ecc. ecc. Insomma vede e constata tutto in un flusso continuo e vitale. Allora decide di registrare, decide di fare un resoconto visivo e fotografico di tutto ciò. Ecco che lì per lì in quell’ istante dello scatto egli trasforma il flusso continuo del mercato in una Memoria presente cioè in un Passato.
Questo rovesciamento dialettico mi è assai utile per togliere una qualsiasi aura posteriore la quale intende dare esclusivamente, come sottolineavo più anzi, una nobilitazione storica e documentale al prodotto fotografico quando, si capisce, esso è di valore.
Dunque non occorre la distanza di 40 o 50 anni per potere valorizzare le ” energie testimoniali”, per dirla con Bufalino, nel senso sia documentario sia inventivo della produzione di un fotografo il quale si rende attento e partecipe sia al tempo cronologico sia al tempo del soggetto. Ecco! Suppongo che sia questo l’elemento guida per approdare alla vasta produzione fotografica di Scafidi, ormai sempre di più patrimonio pubblico .
Analizzando la sua corposa produzione di cronaca il suo metodo è quello di anteporre sistematicamente alla “Cronaca nera” o “rosa” od altra una densa partecipazione umana: “… io sono contrario a fotografare il cadavere da solo. Cerco sempre di contrapporlo ad altro possibilmente vivo” mi disse in una intervista.
Dunque nella stessa inquadratura contrappone la vita alla morte. Sono arci note fotografie come quella dell’omicidio di Paolino Riccobono, 1961( vedi qui l’immagine) , in cui i suoi familiari trovano il cadavere dopo giorni di ricerca; oppure quella dell’ omicidio di Sebastiano Ignoto a Villabate nel 1956 il cui cadavere viene fotografato mentre un altro fotografo è in atto di coprire la vittima con un lenzuolo. Sopra il cadavere della vittima si vede l’ombra di Scafidi stesso; e tante altre.
Dunque il valore della vita viene ora simboleggiata dal vulgo spettatore, ora da un fotografo in scena, ora dalla natura fiorente o persino dalla propria ombra riflessa su un cadavere. Ecco perché la produzione di Scafidi nella gran parte: cronaca nera o rosa, fenomeni di costume, funerali, moti sociali, paesaggi urbani con e senza figure, ritratti, giornalismo visivo, sempre travalica la mera documentazione.
La bellezza delle sue inquadrature: “… il mio cervello è sempre sveglio per l’inquadratura“; rammenta le sue antiche passioni cinematografiche in specie il realismo cinematografico francese – J. Renoire e l’estetica del neorealismo del cinema italiano visto consciamente ed inconsciamente nella ottica di uno Zavattini, mi riferisco alla ” poetica del pedinamento critico della realtà”. Tali passioni agiscono trasformando il semplice lavoro di un fotogiornalista in qualcosa altro: in un punto di vista denso e lontano dal folklore sebbene ci sia tutta la sicilianità.
2.3-
Dunque è una visione anacronistica quella che vede nel fotografare dei fotografi del passato solo la guida o meglio un supporto per rinvenire soltanto il passato. Come abbiamo visto con Scafidi questo non è l’elemento dominante ma qualcosa di decisamente riduttivo, perché reprime il valore dell’ occhio poetico trasformando tutto in reperto archeologico.
Attratto da una sorta di pietà visiva Nicolò Scafidi inconsciamente ci rivela uno spessore tragico onnipresente nel comportamento dei suoi soggettifatalizzati. Il suo obiettivo tende a riprendere uomini e donne di mezza età, come dire, soltanto coloro che sono intrappolati nel gorgo violento della vita isolana.
SCHEDA
TITOLO: Nicola Scafidi il fotografo
Di: Nosrat Panahi Nejad
CON: Nicola Scafidi
FOTOGRAFIA: Luigi Abbaleo, Gaspare Pasciuta, Nosrat panahi Nejad
MONTAGGIO: Nosrat Panahi Nejad, Luigi Abbaleo
DURATA: 52 minuti
PRODUZIONE: 2006 , II versione