Abbas Kiarostami a Palermo عباس کیارستمی در پا لرمو
SEI ANNI DOPO
شش سال بعد
IN CERCA DI UN MIRAGGIO TROVAI L’ACQUA SENZA ALCUNA SETE
di
Abbas Kiarostami
Scrivo questa prefazione sollecitato dall’incontro con i curatori del volume (1) che raccoglie gli atti di un seminario tenuto da me a Palermo nel lontano 1996.
Dichiaro sin da subito che per me aver condotto quel seminario ed essermi trovato in un lungo e così proficuo “dialogo” con i giovani studenti è diventato un solido punto di riferimento nella mia intera carriera di cineasta. Attraverso questo seminario ho avuto la riconferma che per un regista il dialogo e l’apertura verso gli altri è una assoluta necessità. Evidentemente alludo ad un dialogo che funge anche come una terapia la quale può fornire molte risposte ai nostri perenni interrogativi. Inoltre debbo al procedere dialogico del seminario palermitano l’aver modificato il finale di “Sapore delle ciliegie” girato inizialmente in pellicola ma poi sostituito con una altra ripresa realizzata con la telecamera digitale. In conclusione debbo ad esso il mio avvicinamento all’utilizzo del digitale e all’uso della telecamera.( vedi i miei due ultimi lavori: ABC Africa; Ten).
Indubbiamente si tratta di acquisizioni non indifferenti con i quali mi concedo una maggiore libertà e una coesione pressoché assoluta con il film che vado realizzando.
Come ho già ricordato anche nei titoli di coda del film il motivo per cui ho dovuto sostituire il finale di “Sapore …” è da cercare in quelle “lezioni”. In quella occasione spinto dall’ambiente e dalla propensione di studenti nel capire via via si è verificato una rara possibilità nel fare anche un serio bilancio sulla mia attività sin allora svolta. Insomma in quei giorni mi sono visto riflesso, come in uno specchio, attraverso l’intelligenza dei miei giovani interlocutori con i quali ho condiviso una verifica seria sugli alti e bassi spirituali della mia produzione.
In breve io credo, fermamente, che il successo economico e i premi dei festival cinematografici non sono in grado ad svolgere un ruolo così tanto importante ed incisivo quanto i risultati raggiunti tramite un impegno “didattico” il quale darà i suoi risultati, se non immediatamente, in un secondo momento e nel silenzio e nella solitudine di ciascun partecipante.
Come si vede da queste fugaci considerazioni le mie conversazioni palermitane furono davvero costruttive. Dirò di più: da quel seminario io ho tratto la forza e soprattutto la convinzione per continuare il mio mestiere di cineasta. E da quella data in poi ho deciso di tenere in un anno almeno due workshop in diverse parti del mondo durante i quali prima di tutto sono io ad imparare dagli altri.
IN CERCA DI UN MIRAGGIO TROVAI L’ACQUA SENZA ALCUNA SETE.
Abbas Kiarostami
(1) Questo volume ad oggi ancora non è pubblicato.
مدخل نوشته شده توسط عباس کیا رستمی بر “کتاب سمینار سینما در شهر پا لرمو” که در سال 1996 انجام شد
Abbas Kiarostami a Palermo
Prersentazione di Salvatore Tedesco
In una scena del film del 1999 di Abbas Kiarostami, un uomo, il protagonista del film, si addentra nel sottosuolo fra le case di un piccolo paese in un locale totalmente oscuro, adibito a stalla, per comprare del latte che una ragazza munge alla sua presenza, e mentre la ragazza, che sino alla fine nasconde all’uomo il proprio nome e il proprio volto, fa il suo lavoro, l’uomo lascia che il suo sguardo prenda confidenza con quella oscurità, e lentamente recita la splendida poesia di Forugh Farrokhzad che darà il titolo al film, Il vento ci porterà via, circostanziatamente arrestandosi per chiedere conferma alla ragazza della comprensione di qualche sequenza di quei versi, per interrogarla sull’incontro amoroso che ella ha avuto con un ragazzo, e per spiegarle la differenza fra l’educazione scolastica e il talento poetico. La ragazza rimane muta, e al suo posto parlano il contrasto fra l’oscurità della stalla e la luce fioca di una lampada a petrolio, e la scansione lenta dei versi.
Mai, forse, la ricchezza delle dimensioni e delle tensioni proprie del dialogo è stata espressa da Kiarostami con tanta poesia come in questa scena, e raramente ci è stata offerta l’occasione di seguire la genesi di un’idea – appunto quella della preziosa, necessaria, difficoltà del dialogo – nel modo in cui ciò avviene, nel videofilm di Nosrat Panahi Nejad, nel dialogo fra Abbas Kiarostami e lo stesso Nosrat, e nel racconto che ne segue, che è poi il racconto di un altro dialogo, quello fra Kiarostami e Palermo, in occasione del ciclo di seminari che il regista iraniano tenne in Sicilia nel 1996.
Filmare un dialogo è sicuramente possibile in molti modi, e molte strade possibili ce ne ha raccontato la storia del cinema; Nosrat, nel suo film su Kiarostami, accompagnando l’amico regista nel suo percorso attraverso le strade e in compagnia degli allievi di Palermo, insieme a lui sperimenta e apprende il rischio e la necessità del dialogo, ne testimonia la valenza pedagogica e ne scopre la controparte nella malinconia pensierosa del commiato del regista, intento a rammendare un impermeabile seduto sul letto nella sua stanza d’albergo.
Difficoltà del dialogo – La storia, si potrebbe dire con qualche ironia, si è preoccupata di dare ragione a Kiarostami; a sedici anni dai seminari palermitani i testi di quelle conversazioni, raccolti da Nosrat, sono ancora largamente inediti, segno manifesto di un dialogo, quello fra Palermo e Kiarostami, che non ha trovato i modi, le strade giuste per proseguire, per mantenersi alla propria altezza. Ma questa, in effetti, più che storia è banalmente la cronaca del quotidiano disperdersi della memoria culturale nella nostra isola, e soprattutto non è, se non incidentalmente, la voce consegnata alla storia dell’immagine.
Nosrat, per parte sua, assume il compito di raccontarci appunto questa storia, prova cioè a mostrarci a quali condizioni l’immagine possa restituirci il racconto di un dialogo e delle sue conseguenze; è questo che Nosrat ci propone, guidandoci, e guidando Kiarostami, in circuito per le strade della città, raccontandoci la storia minima di due differenti percorsi, quello del regista e quello di Sara, la bambina dello stesso Nosrat, fino al loro incontro, fino a permetterci di scorgere la vicinanza delle loro mani, dei loro gesti più quotidiani.
Quasi inavvertitamente, l’incontro fra Kiarostami e Palermo diventa spia della difficoltà dell’autoriconoscimento del volto di una città, proiettata nel rapporto fra lo sguardo della videocamera, i percorsi della musica di Pergolesi, i lunghi attraversamenti compiuti da Kiarostami, i piccoli passi e le assorte soste della bambina Sara. Emergono in questo percorso non solo i luoghi elettivi della memoria storica, eppure stranamente desolati come la piazza della Magione, ma soprattutto le strade – anonime oppure centralissime – percorse in automobile, riconoscibili ma straniate perché ora viste attraverso una distanza inusuale.
Serge Daney ha detto una volta che un regista è qualcuno che ci fa vedere un certo stato, una certa condizione del corpo umano; è appunto questo che, nelle immagini della videocamera di Nosrat, ci presenta l’incontro fra Kiarostami e Palermo: l’atteggiamento, il moto del corpo, che esprime la ricerca del dialogo; l’attenzione viva che sceglie certi indizi visivi per indagarvi il rapporto fra la verità dell’immagine e la coerenza del racconto, oppure l’intima, quasi impercettibile violenza con cui il singolo individuo si distingue e separa dalla comunità.
È di questo, ci mostra Nosrat, che in ultima analisi ci parlano i volti attenti dei partecipanti al seminario, le riflessioni teoriche dello stesso Kiarostami e di Mario Martone, le immagini che inquadrano, perimetrano i luoghi degli incontri: del dialogo, dello spazio comune del dialogo, e del ritrarsi dell’immagine nel proprio spazio figurativo, un ritrarsi tanto più intenso quanto maggiormente il regista avrà saputo mostrare la verità dei volti nel loro incontro.
Nel finale sentiamo Kiarostami recitare:
L’essenza della vita è in due giorni:
in uno ci si dedica a legare il proprio cuore
e nell’altro a distaccarlo.
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Questi dialoghi tradotti dal persiano in Italiano avvengono in quattro situazioni
del videofilm “Abbas Kiarostami a Palermo” e qui vengono elencati in ordine della loro apparizione
PRIMA SITUAZIONE: A COLAZIONE.
Nosrat: Ieri sera ho visionato tutte le riprese.
Kiarostami: Come sono? Vanno bene?
Nosrat: Si! Abbastanza, ma c’è qualche problema d’audio.
Kiarostami: Come è la giornata?
Nosrat: E’ una bellissima giornata!
Kiarostami: Stanotte ho dormito molto male. Davvero molto male.
Nosrat: Perché? Eri in pensiero?
Kiarostami: No! ho avuto per tutta la notte un forte mal di testa e stamattina quando tu mi hai telefonato ho fatto fatica ad uscire dal letto.
…In tanto continuavo a pensare a quanto sia difficile il dialogo.
E’ molto difficile perché‚ ogni individuo possiede un suo mondo ben differente dall’altro e, purtroppo, il dialogo è l’unico strumento che è rimasto all’uomo!
Molto difficile!
Una cosa che mi è tornata spesso in mente, e noi al seminario non l’abbiamo approfondita riguarda, l’intervento di quella ragazza con i cappelli lunghi. Lei ci ha accusati di falsa violenza. Forse se si fosse trattato di una vera violenza allora lei si sarebbe divertita!
Di solito noi registi cominciamo dal falso. Lo stesso cinema è totalmente falso, è finto.
E proprio per questo motivo che sto smascherando il cinema. E dico: ” guardate che in questo momento tragico del film in realtà le comparse stanno ridendo e, questo attore che guida la macchina in realtà non sa guidare.”
…
Nosrat: Ti ho portato un’ opera musicale. E’ lo “Stabat mater” di Gian Battista Pergolesi. Vuoi ascoltarla?
Kiarostami: Si!
SECONDA SITUAZIONE: IN MACCHINA ANDANDO AL SEMINARIO
Kiarostami: … quando la tragedia ha una dimensione collettiva non è più la tragedia. Come la felicità! Essa quando è individuale non è una vera felicità! …poi la morte è una cosa del tutto accettabile perché un fatto così comune a tutti non può essere rifiutato. E’ appunto una cosa normale…
Il cielo di Palermo è stupendo. A volte questa città mi ricorda Tehran!
TERZA SITUAZIONE: IN MACCHINA ANDANDO AL SEMINARIO
Kiarostami:… Il madonnaro credeva che egli fosse uno della mafia.
Dopo un paio di tentativi andati a male un giorno lo stesso signore si presenta e di prepotenza si siede sullo sgabello del pittore e lo obbliga a ritrarlo.
Il madonnaro vedendosi costretto accetta e lo ritrae ma prima di fargli vedere il risultato teme una qualche reazione.
Questo signore, che ha un’espressione negativa nel volto, appena vede il suo ritratto sorride e contrariamente all’attesa del pittore rimane soddisfatto, paga tutto il denaro che deve, saluta e se ne va.
Il madonnaro rimane stupefatto. Infatti non immaginava che potesse essere cosa semplice, si aspettava tutt’ altro.
Nosrat: Dove accade questa storia?
Kiarostami: Può accadere a Venezia.
Nosrat: Venezia!
Kiarostami: Si!
Nosrat: Ha più possibilità visive!
QUARTA SITUAZIONE: All’ albergo. Il commiato mentre Kiarostami Cuce il suo impermeabile
Kiarostami: Ma gli studenti sono stati troppo affettuosi con me, mi condizionavano e a volte l’eccesso affettivo dà fastidio e va oltre la capacità dell’individuo.
E come dice il poeta Khalim:
Temo cosi tanto il distacco
vado fuggendo ogni conoscenza.
Nosrat: Questi giorni sono passati molto velocemente.
Kiarostami: Dice ancora il poeta:
l’essenza delle vita è in due giorni: in uno ci si dedica a legare il proprio cuore e,nell’ altro a distaccarlo!
SCHEDA
TITOLO: Abbas Kiarostami a Palermo
Di: Nosrat Panahi Nejad
CON: Abbas Kiarostami e la partecipazione di Mario Martone
FOTOGRAFIA, AUDIO, MONTAGGIO: Nosrat Panahi Nejad
MUSICA: G. B.Pergolesi, Stabat Mater
CITAZIONI FILMICHE DA: Compiti a casa; Close up; E la vita continua; Sotto gli ulivi, di A. Kiarostami; Il giorno della prima di Close up, di Nanni Moretti
DURATA: 43 minuti
PRODUZIONE: II versione, Palermo. 1996
Nota sull’introduzione dell’immagine ottica e del cinematografo in Iran
di
NOSRAT PANAHI NEJAD
A)
L’immagine ottica fotografica viene introdotta in Iran alla fine della I° metà dell’Ottocento. Il termine utilizzato per indicare l’immagine fotografica è “aks”. Da tale sostantivo si forma il verbo composto ‘Aks Greftan, che allude all’azione di fotografare. Più precisamente il sostantivo ‘Aks significa “il rovescio”, “il ribaltato” di ogni cosa.
Naturalmente la comparsa dell’arte della “grafia della luce” produce un effetto positivo e sconvolgente su tutta l’attività artistica in particolare sulla tranquilla quiete riproduttiva delle scuole pittoriche d’allora.
Va ricordato che in quell’epoca le correnti pittoriche persiane non facevano altro che copiare dal vero. Per tutta la durata dell’Ottocento dunque perdura una situazione in cui il retaggio soggettivo della miniatura persiana che era soprattutto basata su una mentalità costruttiva tettonica, arretra di fronte alla passione per il paesaggio e per il ritratto due luoghi comuni dove eccellere e rivaleggiare con la realtà.
D’altro canto la situazione culturale generale dell’Iran d’allora era assai refrattaria nell’accogliere le novità plastiche le quali dall’inizio della II metà dell’Ottocento imperversavano in tutta l’Europa. Vigeva sostanzialmente una sorta di autarchia stigmatizzata dalla combinazione ripetuta all’infinito di tre simboli al quanto smunti: l’usignolo, la candela e la lacrima. Si era ancora invasi, nonostante il secolo fosse al termine, da una bassa versione del Romanticismo. E per quanto riguarda le arti figurative l’introduzione dell’immagine ottica di per sé, in una prima fase, creò delle timide aperture.
Durante il periodo della dinastia Qjar (1779-1925) sarà la casa reale ad interessarsi alla pratica e quindi alla diffusione della fotografia. In particolare il re Naser al-din Shah introdusse la fotografia e apprese personalmente i rudimenti dell’arte dell’immagine meccanica attraverso l’italiano Luigi Montabone.
Luigi Montabone (1) era un fotografo torinese che venne mandato in Persia dal ministro Rattazzi insieme ad altri esperti per compiere una missione culturale, politica ed economica. In particolare la missione italiana aveva il compito di riallacciare i rapporti diplomatici e promuovere gli scambi commerciali come la coltura dei bachi per l’industria della seta. Luigi Montabone fu il primo fotografo che riuscì ad inserirsi alla corte realizzando alcuni splendidi ritratti sia del re che del principe ereditario e di altri dignitari.
Inoltre riuscì a suscitare, nell’ambito della famiglia reale, una passione generale verso la fotografia . Successivamente, e molto probabilmente a seguito di questi primi contatti, il Re si interessò personalmente alla fotografia e decise di realizzare egli stesso le immagini fotografiche.
Possiamo quindi dire che il re fu il primo fotografo della storia della fotografia in Iran. E certamente si tratta di un fotografo atipico!
Dall’insieme dei ritratti realizzati da Montabone nell’ambito della famiglia Reale persiana ciò che a distanza di molti anni colpisce ancora è l’introspezione dei soggetti perchè‚ ogni singolo ritratto è dotato di una sua psicologia e una sua entelechia compiuta.
Il re tra il 1865 e 1866 acquistò tutto il necessario per la fotografia e quindi con il procedimento all’albumina cominciò egli stesso a realizzare delle immagini . Per quanto riguarda Montabone tornato in Italia nell’anno 1862 impresse sull’insegna del suo atelier in rosso il leone imperiale del re di Persia. Nel 1867 l’intero servizio realizzato in Persia dal Montabene venne presentato all’Esposizione Universale di Parigi ottenendo “la menzione onorevole”(2).
B)
Vediamo adesso come avvenne l’innesto del cinematografo in Iran passando da un re ad un altro re all’interno della stessa dinastia.
Dal diario di viaggio in Europa del Re Mozzafar al-din shah riproduciamo un passo dove egli parla di un suo film documentario realizzato durante una festa in Belgio.
Nel diario si legge testualmente:
“… Di buon mattino ci siamo alzati e siamo andati sulla spiaggia ci hanno portato delle bottiglie vuote le abbiamo messe ad una certa distanza e poi armati di un fucile con dei proiettili abbiamo cominciato a sparare contro questi bersagli ma nessun proiettile poté colpire le bottiglie. Alla fine Esmayl kahn si è avvicinato ad una bottiglia e togliendo il suo cappello lo ha messo sopra la bottiglia in modo che il bersaglio fosse più grande e visibile. Abbiamo quindi sparato di nuovo. Qualche proiettile ha colpito il cappello e sparandone altri finalmente abbiamo colpito la bottiglia. Dopo il ministro di corte e gli altri hanno continuato a sparare. Il Sadré Azame (primo minitro) e un altro dignitario di un tratto hanno preso una bottiglia e l’hanno gettata sull’acqua e hanno cominciato a sparare contro questo nuovo bersaglio. Finito il gioco siamo tornati alla residenza e abbiamo pranzato e riposato un pò. Dopo esserci svegliati ci hanno spiegato che in quel giorno si celebrava la festa dei fiori e ci hanno invitati ad andare a vedere la festa. Insieme a noi c’erano il primo ministro e il ministro della corte. La festa era assai interessante e spettacolare tutte le carrozze erano addobbate con dei fiori e persino l’interno delle carrozze era addobbato con tanti fiori ed anche le ruote erano ricoperte di fiori al punto che le carrozze stesse non si vedevano perché coperte da questa massa di fiori. Delle signore erano su altre carrozze e con dei mazzi di fiori cercavano di venirci incontro e Ebrahim Khan’ Akkas-Bashi, il nostro fotografo ufficiale era indaffarato a “cinemafotografare”. Le carrozze erano in tutto 50 e assomigliavano ad un treno che camminava in una fila ordinata e in lontananza si sentiva anche la musica….”(3).
E’ interessante notare lo stile del diario privo di punteggiatura racconta tutto in un flusso continuo. Ecco questo fu il primo contatto che il re ebbe con il cinematografo da cui rimase come si vede affascinato. Occorre ricordare che siamo nel 1900 e che il viaggio del re in Europa prevedeva tappe in Germania, Belgio, Italia, Austria e Francia. Il viaggio durò otto mesi e il re tornò in Iran nel dic. 1900 dopo aver saziato i suoi poliedrici interessi verso tutte le novità.
Tornando indietro cerchiamo ora di ricostruire uno alla volta i contatti del Re con il cinematografo: Il Re per la prima volta vide il cinematografo insieme al suo fotografo ufficiale Ebrahim Khan Akkas-Bashi nella sala dell’Esposizione Universale di Parigi questo quando erano giunti a metà del loro viaggio. Fu in questa occasione che egli vide da vicino e per la prima volta l’apparecchio cinematografico e la lanterna magica. Dal diario stesso apprendiamo che all’inaugurazione della Esposizione Universale venne proiettato un film documentario il quale rappresentava l’edificio stesso in cui si celebrava l’Esposizione e successivamente un altro documentario venne proiettato il cui tema era la città di Parigi. E persino durante tutta la durata della esposizione l’Iran ebbe un suo padiglione. In questa occasione i fratelli Lumiere ricorrendo ad espedienti tecnici e a trovate particolari cercarono di impressionare maggiormente gli spettatori. Essi allestendo uno schermo gigante al centro dell’arena puntarono sulla proiezione in grande. E la vastità del pubblico partecipante era tale che dovettero bagnare abbondantemente lo schermo per creare la possibilità di vedere l’immagine proiettata anche , in un modo identico, dall’altro lato(4).
Il secondo incontro del re con il cinema avvenne 16 giorni dopo sempre al palazzo delle Esposizioni dove insieme al suo fotografo visiona altri film. Poi vi fu una terza volta in Belgio durante la giornata della festa dei fiori di cui abbiamo già riferito. E quindi in questa terza occasione il suo fotografo Ebrahim Khan’Akkas-bashi, ora diventato addetto alle riprese filmiche, realizzò il primo documentario della storia della cinematografia iraniana.
Al riguardo del secondo incontro del re con il cinematografo il diario ci fornisce impressioni di prima mano:
“Il film era incentrato sul palazzo dell’Esposizione ed intendeva rivelare forme architettoniche ed aspetti esteriori del palazzo (….) Il cinemafotografo è cosa interessante e nuova il film aveva ben reso vivido e corposo tutto il palazzo per lo più esso si vedeva nei campi lunghi e si vedeva come cadevano le gocce di pioggia sulla Senna abbiamo successivamente visitato la città di Parigi e abbiamo ordinato ad Akkas bashi di provvedere all’acquisto dell’apparecchiatura necessaria affinché noi possiamo far divertire i nostri sudditi”
In questo passo del diario c’è da evidenziare l’espressione “campi lunghi” utilizzata dal Re stesso e in un modo appropriato. Tale espressione insieme al termine “cinematografare” alludono ad una sua conoscenza precedente che forse gli proveniva della passione familiare per la fotografia. C’è da ricordarsi che il termine “campo lungo” in lingua farsi così come coniato da lui è tuttora in vigore.
Vi è poi una lettera della compagnia Gaumont datata 2 agosto 1900 indirizzata alla residenza del re, in cui si comunica la spedizione di due apparecchi 35 mm e 15 mm.( 5).
Dunque Il Re di un regno decadente che aveva intrapreso il suo viaggio armato di pugnale e spada ritornava con la pellicola, la cinepresa e il proiettore!
Dopo il ritorno del Re in Iran si verificò a Tehran una prima rapida diffusione del cinema nell’ambito aristocratico e della casa reale. Le occasioni per proiettare i film che erano esclusivamente stranieri furano due: le feste di matrimonio e quelle di circoncisione.
Il fotografo Ebrahim Khan Akkas-Bashi oltre ad adempiere ai suoi doveri di fotografo della corte filmava e documentava tutti gli avvenimenti legati alla corte e di tanto in tanto usciva dal palazzo e realizzava per se stesso documentari a soggetto libero. In particolare ha documentato le processioni religiose che commemorano il martirio del terzo successore del profeta dove egli documenta con un’attenzione speciale alcune persone che praticano l’ autoflagellazione. In questo modo Ebrahim Khan Akkas-Bashi lascia i primi documentari visivi su ciò che successivamente viene definita una dimostrazione piena della “passione sciita”. Ancora lo storico del cinema iraniano Jiamale Omid (vedi noata n.3) riferisce che
nel 1992 durante alcune esplorazioni nei sotterranei di una delle residenze della monarchia precedente sono state trovate delle pellicole. Una di queste della durata di 3 minuti mostra gli eunuchi del re che giocano fra di loro. La paternità di questo film è stata chiarita da uno dei discendenti, oramai assai anziano, della monarchia Qajar il quale parlando con il celebre scrittore e regista Ebrahim Golestan (6) ha rivelato che a suo tempo aveva appreso da nonno che questo film di breve durata era stato diretto dal re stesso. E quindi il ritrovamento di questa pellicola ha confermato la tesi la quale considerava il Re come il primo regista della storia del cinema iraniano . E Pariviz Davaiy, il maggiore critico e studioso del cinema iraniano negli anni settanta, ravvisa nel film Silenzio d’oro di Renè Clair nella figura del Re che visita il set cinematografico, la presenza simulata del Re persiano allora a spasso per i centri culturali più importanti d’Europa.
C)
Una digressione:
Il caleidoscopio di cui riproduciamo la forma e la funzione in una fotografia è un’unità spettacolare che contiene in se la narrazione orale e l’immagine con la presenza di alcuni elementi presi dal teatro popolare. Nell’immagine vediamo un caleidoscopio in funzione con due bambini che usufruiscono della visione.
Il caleidoscopio persiano dotato di tre visori è costruito a forma di un castello medievale europeo da qui il sostantivo persiano: sharè-farangh, cioè la città dei franchi (la città europea), con il quale comunemente viene chiamato. Il signore con il cappello guardando dal proprio visore racconta la storia e con le mani all’interno dell’apparecchio manovra le immagini disponibili le quali, passano davanti alle lenti, vanno da un rullo ad altro. Chi guarda contemporaneamente ascolta il racconto. Accanto al narratore vediamo nella foto due finti neri: sono comici legati a una forma di teatro comico popolare detto “thatre ru hozi” ( teatro da cortile). Costoro erano soliti comparire in prossimità del capodanno persiano che coincide al primo giorno di primavera. Questi attori secondo le indicazioni del manovratore e regista eseguono musiche e canti dal vivo e, a volte danzano. Sono i valori aggiunti allo spettacolo visivo fornito dal caleidoscopio persiano. Come si vede si tratta di una unità spettacolare completa. In Iran in alcune province non eccessivamente urbanizzate si possono ancora incontrare di narratori muniti di caleidoscopio che vanno da un punto all’altro della città
Note:
(1) Michele Falzone del Barbarò, L’album persiano di Luigi Montabone, in “Fotologia”, Firenze, vol. 6, dicembre 1986, pp. 24-33
(2) Ibidem.
(3) Dal diario del re Mozaffer al-din Shah, in Omid, Jamal, Tarikh-e Sinema-ye Iran (La Storia del Cinema iraniano) 1900-1978.Tehran, 1982( in persiano).
(4)- (4)- Emmanuelle Touleto, Il CINEMATOGRAFO INVENZIONE DEL SECOLO, Edizione italiana, © 1994 Electa/Gallimard, Edizione furoi commercio.
(5)- Dal diario del re Mozaffer al-din Shah, in Omid, Jamal. Tarikh-e Sinema-ye Iran (La Storia del Cinema iraniano) 1900-1978.Tehran, 1982( in persiano).
(6)- Ebrahim Golestan, Scrittore e regista di grande importanza sia nell’ambito letterario che cinematografico. Nel 1965 realizza il suo capolavoro cinematografico
dal titolo: Kheshto- Aeeneh خشت و اینه (The Brich and the Mirror)