Aldo Pecoraino, l’albero perpetuo
di GREGORIO NAPOLI
Aldo Pecoraino alberi, alberi infiniti…
Gli alberi non sono vegetali, bensì creature in carne ed ossa, entità vive. Così appaiono nella deposizione del contadino palestinese del film Il giardino di limoni. Il regista Erik Riklis non ha dubbi: nel lembo di terra appartenente alla vedova Salma Zidane, quei tronchi sono irrorati dal pianto dell’umile agricoltore, che ha visto crescere il frutteto, l’ha alimentato con la sua fatica, ed ora rivendica – con la proprietaria – il diritto a non vedere abbattere gli atavici rami per assicurare al ministro della Difesa adeguata protezione contro il terrorismo. Chi ha visto il film sa che la Corte deciderà salomonicamente, gli alberi saranno potati sì da consentire la visione globale del giardino evitando, dunque, che le foglie si trasformino in ricettacoli per fanatici armati di mitra. Le immagini di Riklis tornano alla memoria mentre scorre sullo schermo Aldo Pecoraino l’albero perpetuo di Nosrat Panahi Nejad. Ancora una volta, il Nostro evita il dettaglio statistico, la scrittura vergata col semplice proposito di informare il lettore/fruitore. Non siamo di fronte a uno scritto/de/scritto ma, piuttosto, davanti all’analisi di una personalità complessa e appassionata, l’artista che medita sulla propria opera, dopo il rogo della casa/ateliere di Gibilmanna. Nosrat non è nuovo ad agnizioni iconografiche sublimanti. Nelle parole di Aldo – che non è “intervistato”, bensì “visitato”, esortato e comunque affettuosamente giubilato – l’evento periglioso assume valenza di riscatto. E il dialogo si sposta dal coefficiente “verbalizzato” all’interpretazione della Musa, dal resoconto al diario spirituale, dall’allarme per il torto subìto alla lamentatio sulla creatività racchiusa sulle tele accumulate, nei corridoi e sotteranei, nei virtuosi ritiri del percorso estetico. La “camera” avverte un’ondeggiante curiosità, pellegrinando “a spalla”sui paesaggi, gli scorci rurali, i primi piani dei personaggi; e naturalmente, sulle forme sinuose della/delle Venus, in appelli ora raffaelliti ora canoviani, sempre irraggiati dalla luce mediterranea. Il binomio otturatore/pennello – Kinopravda e colore ad olio – incalza con impeto, attirando lo spettatore verso altri archetipi della glossa Lumière. Aldo Pecoraino ha il privilegio di non essere destinatario delle domande onde è vorace il giornalismo contemporaneo. Eppure le sue “risposte” palpitano di allusioni cinefile, da Scipione l’Africano alle “belle cose che il cinema ha fatto”, e si è nei dintorni di Edna Purviance o Paulette Goddard, talvolta; ed il Vagabondo di Charlie Chaplin sgambetta fra le cornici allineate. Il Pittore non nasconde il suo orgoglio. Rinuncia alla datazione, eppure solleva ora questo dipinto, ora quello, quasi lo carrella verso l’obiettivo, lo commenta con nobile discrezione, aggiunge avare notazioni biografiche. Frattanto, sorge il codicillo dell’Estetica. Pecoraino artista attivo, nel senso che reagisce contro la mediocrità erigendo la sua tavolozza; ed enunciando il progetto. “Oggi – egli afferma – tutti fanno la stessa cosa” ed invece la poesia è una faccenda individuale, deve distinguersi dalla banalità, proclamare la propria indipendenza dall’altrui milizia, più o meno prezzolata. Non gli è difficile, dunque, giungere alla presa di coscienza. Pecoraino non imita tratteggia di suo, e proclama apoditticamente “non voglio apparire come non sono”. Noi lo seguiamo nel percorso della purezza.
Dai Fiamminghi a Utrillo, le orecchie tese al Messia di Georg Friedrich Händel, non è difficile attingere l’Osteria flegrea di Alfonso Gatto, verseggiatore che soltanto incauti esegeti possono definire ermetico, mentre è chiarissima la sua ansia civile.
Mentre i figli Mario e Filippo allineano le opere fuori dall’uscio, per restituirle al bosco, s’ode il sussurro del vento. O forse sono gli alberi a respirare l’alito dell’infinito. Già, gli alberi, le creature vive nel Giardino di limoni. Se Carlo Ludovico Ragghianti teorizzava il cinema come arte figurativa, in Aldo Pecoraino l’ipotesi genera icone suggestive, saldandosi nell’emulsione squisita di Nosrat. Disegno sulla tela che diventa Segno nel pulviscolo misterioso della proiezione. Anche qui, come in altre opere di Nosrat Panahi Nejad, quello che i cialtroni della critica mistificatrice continuano a definire biopic acquista la dignità del ritratto biografico, come è sua natura. Ritratto nel ritratto, emozione e rapimento che prolificano in emozioni e rapimenti. Perché. Come si apprende dalle lettere del Buonarroti, “si dipinge col ciervello et non con le mani”.
NOTE DELL’AUTORE
Il pittore palermitano viene ripreso ed intervistato dopo il devastante incendio avvenuto nella sua casa-atelier a Gibilmanna. L’incendio ha provocato oltre alla perdita di alcune opere importanti, la distruzione della quasi totalità del serbatoio naturale di modelli che ispirano il pittore: i suoi alberi.
Partendo da questa attualità, Pecoraino racconta, attraverso un’ esposizione serrata ed argomentata, il suo credo estetico, illustrando il suo originale modo di guardare sia la pittura che l’immenso paesaggio naturale siciliano. E quindi, si va, attraverso la memoria, all’ esordio e al primo quadro realizzato a soli cinque anni ed eseguito dal vero utilizzando una cartolina raffigurante l’Arno e il suo celebre ponte.
L’ ottantenne pittore, che umanizza gli alberi, pittore dalla lucida consapevolezza del mestiere ereditato dai maestri del passato (e non dal facile ossequio alle mode e alle imitazioni), critica, col solito impeto, tutto l’esistente pittorico in virtù del principio della coerenza etica ed artistica. Una coerenza che gli procura, da sempre , una profonda solitudine.
E mentre, nel percorso filmico , egli traccia i suoi pensieri pittorici i figli, Mario e Filippo procedono con l’allestire, nei meandri stretti della casa- studio, una mostra delle bellissime opere paterne, creando all’istante l’unica possibile esposizione, la quale comporta la fuga di alcuni quadri verso l’uscio della casa dove li attende un ritorno, simbolico, nel grembo della natura.
SCHEDA
TITOLO: Aldo Pecoraino, l’albero perpetuo
DI: Nosrat Panahi Nejad
CON: Aldo Pecoraino , Mario Pecoraino, Filippo Pecoraino
ASSISTENTE E FOTO DI SCENA: Luisa Mazzei
FOTOGRAFIA-AUDIO-MONTAGGIO: Nosrat Panahi Nejad
MUSICA: G. F. Handel (1685-1759)Messiah royal Philarmonic Orchestra & Chorus dir. Sir Thomas Beecham-RCA Cla ssics 1959
PRODUZIONE: Luisa mazzei- Nosrat Panahi Nejad- Palermo 2009