Antonio Pizzuto, sur le pont d’ Avignon
Di Lucio Zinna
Non è la prima volta che il regista iraniano Nostrat Panahi Nejad si misura, complice la macchina da presa, con Antonio Pizzuto (Palermo 1892 – Roma 1976), scrittore d’avanguardia eccentrico nei riguardi delle stesse neoavanguardie ed estraneo alle logiche di gruppi e di correnti. La riforma della scrittura narrativa, da lui attuata per gradus, è personalissima come il mondo rappresentato nelle sue opere, la cui dimensione poetica (e musicale) è più intensa di quanto lo stesso autore non fosse disposto ad ammettere.
Di quel mondo sono particolarmente i luoghi, nonché voci e suoni, ad affascinare Nosrat, il quale ha già dato vita ad un ’videoritratto’ incentrato sulla casa palermitana ai Quattro Canti (nello storico Palazzo Napoli) abitata dallo scrittore nella sua infanzia e giovinezza e fino al suo trasferimento a Roma nel 1935, descritta in Si riparano bambole (esiste un raccordo autobiografico tra il protagonista, Pofi, e l’autore). Pizzuto, anziano, aveva rivisitato nel 1967, con malcelata commozione, quell’abitazione ormai in stato di degrado. Il decadimento si era accresciuto quando nel 1996 Nosrat aveva impietosamente effettuato le sue riprese. Durante un suo soggiorno a Palermo, era stata la figlia dello scrittore, Maria (residente a Roma, dove presiede la Fondazione Pizzuto) a guidare Nosrat nella Palermo paterna e a indicarne significative correlazioni con le pagine narrative. Il ‘videoritratto’ aveva sapientemente ricondotto il tutto a una dimensione lirica fuori dal tempo eppure del tempo rigorosa propaggine.
Filo conduttore del nuovo video è Sul ponte di Avignone, il primo romanzo di Pizzuto, composto tra il 1931 e il 1936, edito per la prima volta nel 1938, a spese dell’autore, il quale aveva adottato uno pseudonimo per via di compromettenti risvolti autobiografici. Vi si narra della relazione tra il protagonista e una giovane, di cui è innamorato e che sposa dopo un lungo fidanzamento. L’uomo intrattiene da un anno una relazione con un’altra ragazza, Elena, della quale si è parimenti innamorato, che tiene come sua amante e che lo rende padre di una bimba, Giovanna. La doppia relazione, fatta di esaltazioni e ansie, inseguimenti e nascondimenti, è da lui vissuta con un forte senso di colpa. L’amore intenso verso le due donne, per la figlia Giovanna − che segue con affetto e fa studiare in un aristocratico istituto palermitano − e per i due figli legittimi, Maria e Giovanni, fanno di lui un uomo intimamente lacerato. La relazione extraconiugale, complicata dalla violenza del marito di Elena, si farà sempre più logorante, fino a quando la donna non prenderà la drastica decisione di troncare tutto.
Sarà il ricordo di una popolare canzoncina francese, Sur le pont d’Avignon, canticchiata dalla bambina Giovanna durante una vacanza pasquale, a ristabilire come un “ponte sonoro”, facendosi input della scrittura, anch’essa metaforico ponte e instrumentum psicologicamente liberatorio, per cui il romanzo, ancor più che autobiografico (nella generalità e nei particolari, nomi compresi) cela il suo essere, sostanzialmente, diario, se non addirittura confessione.
E un “ponte sonoro” ristabilisce Nosrat, sulla scia di quelle che Pizzuto chiama «le incognite della memoria», ma che tuttavia mantengono i loro agganci con il cognitum, finché il tempo li renda possibili, finché permangano tracce ed echi di uno svanito presente.
Cosa resta oggi del mondo che Pizzuto ha rappresentato in quel libro? Il regista si propone di ripercorrerne i tracciati, in una ricerca di reliquiae, in senso strettamente etimologico, le quali non possono che essere costituite dai luoghi ancora esistenti e dai ricordi di chi può ancora custodirli. La chiave non può che essere Giovanna, personaggio cardine del racconto, con lo scrigno della sua infanzia. Abita, da circa 40 anni, in una casa prospiciente all’istituto del “Sacro Cuore”, nella zona palermitana dell’Olivuzza, che la vide alunna, allora riservato alle fanciulle di buona famiglia (come si usava dire), dei ceti alti. Un ampio edificio, una struttura scolastica dalla vasta offerta formativa, con una dovizia di servizi, che – nel periodo in cui è ambientato il romanzo – pochi potevano permettersi. E in quei locali, oggi in parziale abbandono, lontani i fasti di quegli anni, Giovanna, ottantunenne, torna a cantare la canzoncina del ponte di Saint Benezet e a rendere i ricordi come attuali. Quei luoghi, incancellabile scenografia della sua infanzia (le aule ora in rovina, il refettorio deserto, il peristilio, il giardino etc.), si fanno espressione del tempo divoratore. Ne è guida un altro personaggio, in controluce, in qualche modo emblematico: Suor Giovanna Scarlata, attuale Madre Superiora di quella comunità, di sole monache anziane, pensionate e pensionanti.
E Giovanna rammenta come papà e mamma si vedessero ogni giorno, talvolta litigando e riappacificandosi, anche nell’arco della giornata, le lunghe passeggiate col padre, in attesa che si calmassero le acque. Dopo il trasferimento paterno nella capitale, le visite diventarono annuali. E l’altra sorella, Maria, anch’ella intervistata nella sua casa romana, aggiunge altre tessere di mosaico. Giovanna − dice − non sentì l’anomalia della sua condizione generativa, come la stessa Giovanna conferma (le due sorelle si conobbero da adulte).
E benché, sulla scia del pensiero filosofico del fenomenista Cosmo Guastella, il mondo pizzutiano si muova in un sostanziale scetticismo nei riguardi del tempo, non sarebbe possibile comprendere l’opera dello scrittore palermitano prescindendo dalla dimensione temporale e perfino dallo stesso dato memoriale (non memorialistico: Proust è lontano, come il pensiero di Bergson a fondamento teoretico della Recherche), che si pone come imprescindibile acciarino e sottofondo costante.
Il tempo rimane sotterraneo filo conduttore del film. Tutto si svolge tra passato e presente, considerati in sé. Da un lato l’ineluttabile corsa degli anni, dall’altro, un lento affievolirsi dei margini tra “ora” e “allora”, come a voler giungere a una compresenza di tempi. Se ne fa sintesi ed emblema la stessa canzoncina francese che ritorna nell’evocativo canto di Giovanna: Sur le pont d’Avignon. Il fanciullesco refrain si mescola alle sue letture di brani da opere paterne (“Sul ponte di Avignone”, “Si riparano bambole”,“Vezzolanica”), di particolare suggestione, innestandosi alle letture di Maria, seduta e appoggiata a un bastone, ai suoi commenti e alle sue considerazioni sull’estetica dell’illustre genitore, sulla rivoluzione da questi silenziosamente attuata nei riguardi delle strutture del romanzo novecentesco, a ragione affermando che in “Sul ponte di Avignone” c’è interamente il Pizzuto della produzione futura.
Tutto si snoda in un’ossimorica discontinuità, la stessa che connotava la vita dello scrittore siciliano (la sua, ebbe a dire, non era stata di uno svolgimento lineare). Una singolare commixtio in cui finisce per consistere anche la magia della realizzazione filmica di Nostrat, nella quale sono (pizzutianamente) aboliti gli spazi di intermediazione.
Il regista, come deus absconditus, si mantiene rigorosamente dietro le quinte, come si direbbe in linguaggio teatrale, per un racconto filmico che rinuncia a svolgersi sull’asse lineare. Ordine cronologico e ordine di configurazione (nesso di casualità) sono posti, si direbbe husserlianamente, tra parentesi, per far leva, piuttosto, su una rielaborazione interiore, in cui abbiano buon gioco percezioni sensoriali, vibrazioni emozionali etc., gli stessi elementi ai quali si affida Pizzuto per la migliore ricezione dei suoi testi da parte del lettore. L’ispirazione del regista (da intendere come impulso creativo e vis compositiva, aliena, dunque, da ipoteche mitiche e suggestioni vetero-estetiche) vale da collante, garantisce l’unitarietà del prodotto artistico.
Rilevante è nel film l’inedito documento audiovisivo in cui lo stesso Pizzuto legge due lasse dalle sue “Ultime e penultime”. E vi si possono cogliere ritmie cadenze di un singolare modus enarrandi, di una scrittura che l’autore saprà, negli anni, rendere sempre più complessa e più rarefatta.
NOTE DELL’AUTORE
Si tratta di un secondo video ritratto da me dedicato, a distanza di quattordici anni, al grande scrittore siciliano Antonio Pizzuto.
L’opzione registica nuovamente s’impernia sulle figure filali. Oltre Maria è presente anche l’altra figlia dello scrittore Giovanna, la vera protagonista e la reale artefice sonora de Sul ponte d’Avignone.
Entrambe nel percorso filmico tentano di ricostruire, a modo loro, delle tracce vissute e assimilate dalle opere paterne.
Maria, seduta ed appoggiata ad un bastone legge in profondità e commenta le Otto rinunzie e un proposito e spiega la specificità del Ponte.
Giovanna racconta e rivisita con la complicità della terza protagonista del film, la madre superiora del Sacro Cuore di Palermo, Giovanna Scarlata, il giardino, il peristilio e la sala d’attesa, ora popolata da suore in pensione e in preda dell’estrema vecchiaia. Inoltre visita le rovine delle classi e del refettorio di una volta dove si concentravano le voci delle alunne. E quindi ascolta la lettura di interi brani del primo romanzo trovato lì a caso in un armadio a muro tra libri e dispense scolastiche abbandonate da anni.
Il film, così come nel romanzo, si apre sulla scena del canto. Giovanna dopo ottant’uno anni torna con la sua meraviglia di voce a cantare, nella sala da pranzo, seduta su una sedia in controluce dando inizio ad un procedere autonomo di stati frammentari slegati dal flusso ordinario della loro vita: che cosa è il romanzo se non una autobiografia dall’interno.
Infine la voce fuori campo, il quarto livello della costruzione tettonica dell’immagine filmica, è quello di Antonio Pizzuto . Egli legge “Cobra” da Ultime e penultime e chiarisce due punti cardinali della sua poetica . Ma è soprattutto con le onde sonore della sua voce che induce tutti in uno stato di ascolto unendo differenti spazi vissuti da lui e dalle figlie tra Palermo e Roma.
SCHEDA
TITOLO: Antonio Pizzuto, sur le pont d’ Avignon
DI: Nosrat Panahi Nejad
VOCE FUORI CAMPO: Antonio Pizzuto legge “Cobra” da Ultime e penultime
CON: Giovanna Friscia, Maria Pizzuto, Giovanna Scarlata, madre superiora Istituto Sacro Cuore di Palermo
FOTOGRAFIA-AUDIO- MONTAGGIO: Nosrat Panahi Nejad
MUSICA: Federico Incardona, Obliquo di luna per soprano e cinque strumenti,2001
DURATA: 54 minuti
PRODUZIONE: Luisa Mazzei- Nosrat Panahi Nejad, Palermo 2010