Eugenio Bronzetti il Fotografo

di

Nosrat Panahi Nejad

1) Il serbatoio tematico dei fotografi dell’inizio del Novecento fu tanto vasto quanto il presunto enciclopedismo della stessa immagine ottica. La fotografia, questa supplenza meccanica dell’occhio, rappresenta la prima e decisiva aggressione fatale alla manualità sino ad allora  insita in qualsiasi forma di fare immagine. Tale supplenza  rese  riprendibile e  traslabile la totalità dell’esistente.

Nacque così la categoria della FOTOGENIA(1) la quale poneva fine alla felice fase della loggia che aveva avuto il suo elemento cardine nell’univoco invaghimento del fotografo affetto da necrofila mania per il volto in posa. E, contemporaneamente, un duplice movimento sostituiva la precedente staticità fotografica: da un lato, il movimento fisico del fotografo spinto ad oltre passare le pareti della loggia verso gli spazi aperti, e, dall’altro, il dinamismo e la mobilità assunta dall’occhio  stesso modificarono la lenta e limitata riproducibilità della loggia con un’ altra molto più estesa ed onnivora quella della molteplicità dell’esistente. E cosi la ricerca dell’ESPRESSIONE, meta iconografica e pittorica sino al decadere del primo ventennio dell’800, si tramuta in ricerca della  FOTOGENIA.

La caratteristica della FOTOGENIA, a differenza di quella dell’ESPRESSIONE, risiede nella sua totale disponibilità ed estraibilità (maieutica) da tutto quanto l’esistente e, perciò anche dal “brutto” e dal “senza grazia”. La FOTOGENIA, poi, nel volger del tempo, dilata così tanto la sfera del tema da poter stordire l’occhio medesimo offrendogli scenari ed incastri visivi inediti. Allora la pratica della posa, già  elemento fondante della  loggia arretra fin al punto da divenire una memoria utilizzabile soltanto in precipue condizioni. Per il resto la prepotenza dell’energia e del movimento(2) insieme alla fluida disponibilità dello scatto plasmarono fino al secondo dopo guerra sia i fotografi sia la fotografia!

2)

Eugenio Bronzetti  “Fotografo industriale e di architetto”(3)   si iscrive a pieno titolo  in questa realtà. Emblematica risulta la sua prima fotografia scattata quando egli aveva soli 14 anni: un’ immagine panoramica realizzata dall’alto di una ciminiera ma ancora con i mezzi e con l’ attrezzatura d’uso corrente nella loggia (vedi immagine n.1).

Bronzetti già nella fase del suo apprendistato fotografico abbandona la statica produzione loggiesca girovagando per la città, fiutando delle possibili connessioni tra la tecnica industriale e quella della chimica e della fotografia. L’inizio della sua attività coincide, oltre che con l’ ampliamento della tematica fotografica, anche  con il sorgere di una certa  passione per l’ erranza visiva.

[Tra il 1925 e il 1935 Eugenio Bronzetti insieme a Dante cappellani (n.1890-  m.1969)  riuscirono a consolidare anche a Palermo il nuovo modo di intendere la fotografia gettando le basi per il lavoro dei grandi fotografi palermitani del dopo guerra(4)].

3)

La natura cosciente e logica delle fotografie di Bronzetti e soprattutto la consapevolezza della meccanicità dell’atto di fotografare distinguono la sua produzione da un qualsiasi anacronistico concetto della fotografia dalle presunzioni pseudo liriche e letterarie di stampo naif. Bronzetti è il fotografo che nella fase più matura della sua attività impone ben volentieri una logica di costruzione alle sue immagini. Egli si affianca, agli architetti, agli ingegneri, e ai progettisti di fama, applicando, le leggi della fotogenia alle richieste dei committenti.

I generi prediletti coi quali Bronzetti inventa maggiormente sono due: il fotomontaggio industriale e gli interni architettonici. Entrambi generi non richiedono dal medium nessuna enfasi e nessuna ideologia depauperistica da “eterni senza scarpe”! Ma al contrario richiedono un felice ritorno alla natura logica del medium stesso.

Riteniamo che con tale atteggiamento professionale Eugenio Bronzetti abbia vissuto l’Era fascista ed abbia fatto il fotografo ufficiale per l’Ente di Colonizzazione e del Latifondo Siciliano(5). In realtà in questo suo amore “non accademico” per la precisione dello strumento, per un uso logico e costruttivo, del medesimo  ravvisiamo una labile ma incisiva memoria dei propositi di grandezza metropolitana coltivati dai palermitani sin dalla rivoluzione del 1860.

Le 85000 matrici, tra i negativi e le lastre, tuttora esistenti nel suo archivio, in realtà rappresentano prima di tutto la sua età (6) e la sua longeva attività fotografica traducibile in un enorme e quasi incontrollabile corpus di immagini dalle sfaccettature argomentative e dagli alti e bassi qualitativi assai diversi e controversi. Ne elenchiamo per argomenti: “vita quotidiana contadina”; “vita quotidiana urbana”; “interni di famiglie”; “lavoro contadino”; “lavoro artigianale”; “lavoro industriale”; “vita fascista”; “bambini”; “scolari”; “giovani”; “donne in fotogenia”; “fotomontaggi industriali”; “fotografie aree”; “fotografie di guerra”; ecc.

4)

Ritornando al nostro incipit sottolineiamo che in questo contesto dai contorni diversi, la FOTOGENIA ha demolito le convinzioni argomentative privilegiate della loggia e, ha esteso l’ineluttabilità di ogni scatto fotografico su tutto l’esistente facendo sfuggire l’arte dell’immagine meccanica dalle idealizzazioni mitologiche e dalle mimesi servili e smunte di stampo letterario. Ma, nello stesso tempo, la FOTOGENIA ha cercato di operare sul concetto stesso dell’ ESPRESSIONE obbligando il fotografo a diventare ESPRESSIONE egli stesso. Il fotografo benché, sia ancora lontano da un’ attitudine metafisica alla Morandi ha comunque sin qui  dato molto per sconvolgere, arrichendo,  le coordinate generali della grammatica visiva.Eugenio Bronzetti a noi pare che sia uno di questi fotografi.

 

Note:
1) La FOTOGENIA nasce quasi insieme alla fotografia. Venne presa in grande considerazione dal dibattito teorico cinematografico tra gli anni ’20-’30.
La FOTOGENIA per quanto concerne la fotografia ne indica e presuppone la riuscita tecnica ed estetica divenendo una sorta di chiave di volta per la comprensione del linguaggio fotografico stesso.
Si potrebbero elencare un insieme di elementi che concorrono alla invenzione di un’ immagine fotogenica: l’esattezza dell’angolo di ripresa, la composizione, il taglio dell’inquadratura, il tipo di luce, il gioco divisorio dei piani, la distanza metrica tra l’obbiettivo e il soggetto/oggetto, il colore (se è applicato), ecc..
Inoltre la FOTOGENIA al contrario dell’ESPRESSIONE è in un certo senso già preesistente  nella materia-soggetto. La sua messa in forma è di competenza dell’occhio quindi della finezza e della maturità dello stile e del calcolo visivo.
Poichè il linguaggio fotografico non vive di uno scambio-dialogo con i miti o con gli archetipi, giacchè è perennemente sito nell’attuale, così l’intrinseco fotogenico che determina la FOTOGENIA  non necessita una nobiltà della materia, una bellezza preparatoria. La FOTOGENIA prende in considerazione, indistintamente, dalla sfera del visibile, tutto l’esistente elevando ogni argomento allo statuto di “soggetto” e di “personalità”.
2) Per quanto riguarda lo specifico campo della fotogrfaia è opportuno richiamare l’attenzione su alcuni nodi della teoria dell’arte fotografica e per esempio, sulla “fotodinamica” e sulla “fotografia in movimento” dei futuristi italiani. Di queste due proposte futuriste chi si è occupato attivamente e con un certo fervore fu Anton Giuglio Bragaglia. Inoltre è opportuno citare il punto di vista del movimento futurista espresso nel Manifesto Fotografico da Marinetti. Ne citiamo le prime due righe:
“La fotografia di un paesaggio, quella di una persona o di un gruppo di persone, ottenute con armonia, una minuzia di particolari ed una tipicità tali da fare dire: “…sembra un quadro”.. è cosa per noi assolutamente superata. […]   (11 aprile 1930)
F.T. Marinetti Tato
3) Si legge proprio così sul suo  biglietto da visita.
4) A proposito di Dante Cappellani vorrei ricordare il suo ottimo servizio su “Il Palazzo delle Poste” di Palermo. Si tratta di una sequenza documentaria realizzata su commisione e connessa all’inaugurazione dell’edificio stesso avvenuta il 28 ott. 1934. Occorre ricordare che l’edificio in questione oltre ad essere un esempio di architettura di epoca contemporaneamente è una sorta di museo di arte futurista a Palermo .
Anna Maria Ruta nel suo saggio introduttivo al volume che raccoglie le fotografie di Dante Cappellani scrive quanto segue: ” Nel palazzo delle Poste di Palermo due ambienti in particolare sono segnati da questa evidente impronta avanguardistica, la Sala delle Conferenze e lo Studio del Direttore Provinciale ” (…). Le pareti della Sala sono impreziosite da cinque grandi tele (1.95×3.20) di Benedetta Cappa Marinetti [(Roma 1898- Venezia 1977), allieva di Balla e moglie di Marinetti]; un misto tra tempera ed encausto, dipinto per il Palazzo di Palermo tra il 1933 e 1934 (…), esemplari di tutta l’aeropittura futurista ispirata al tema dei mezzi di comunicazione tecnologica (sintesi delle comunicazioni terrestri, marittime, aeree, telegrafiche, telefoniche, radiofoniche)…
In Dante Cappellani, “il Palazzo delle Poste di Palermo, testi di Maria Antonietta Spadaro, Anna Maria Ruta, edi. Guida. Palermo, 1993.
5) Vedi la riproduzione delle lettera con cui l’organo competente  incarica Eugenio Bronzetti a lavorare per l’ Ente in questione. Riproduzione pag. 7.
6) Crediamo che ogni archivio fotografico abbia prima di tutto presente in se‚ una  valenza polisemica che è proprio del detentore. L’indagine su un fotografo, sulla sua produzione è anzitutto una ricerca per ricostruire la memoria visiva del fotografo stesso. In questo tentativo tutto: eventi, cronaca, guerra, miseria, permanenza dell’ antico (nel nostro specifico il contesto siciliano), ecc. può essere di ausilio, di ritorno e per comprendere meglio il punto di vista dell’attore- facitore .

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Biografia:

Eugenio Bronzetti (1870-1997)

Figlio d’arte, nasce a Palermo il 24 ottobre 1906 da Benedetto (9 novembre 1870 Palermo, 12 dicembre 1944 Roma) e da Celestina  Interguglielmi (27 aprile 1880, 3 agosto 1957 Palermo).
Eugenio è il secondo genito di una famiglia non numerosa: un fratello Giuseppe (28 ottobre 1904,30 novembre 1944), due sorelle Maria Rosa (1913) e Annunziata (1925).
Nel 1920 in un modo puramente fortuito scatta la sua prima fotografia dall’ alto di una ciminiera della Centrale Elettrica sita in via Alessandro Volta.
Cinque anni più tardi, dopo aver appreso dal padre i rudimenti del mestiere lo sostituirà nella direzione dell’atelier. Man mano intensifica la sua attività lavorando su commissione per diversi enti e società industriali. Tra 1941-1942 realizza le sue famose fotografie per l’ Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano. La lettera n. prot. 18704 /A/P datata 11 dic. 1941 anno XX, recita quanto segue: ” Eugenio Bronzetti è incaricato di eseguire, per conto di questo Ente e nelle varie province dell’Isola, le fotografie di Borghi rurali, Case coloniche, Strade di benefica, ponti, sorgenti, bevai, piantagioni e vedute panoramiche nelle Zone latifondistiche ” ….
Dopo questa importante esperienza egli nel 1943 si  trasferisce a Roma ove rimane sino al 1947. Qui collabora con riviste e  giornali, soprattutto realizza molti servizi fotografici per la rivista Tempo di Milano. Nel 1944 dopo la scomparsa di suo padre torna a Palermo riprendendo la sua attività fotografica e  lavorando sino al 1981 realizzando innumerevoli servizi fotografici di varie ma mai di attualità politica e di cronaca.

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Conversazione di Nosrat Panahi Nejad con Eugenio Bronzetti

A cura di Luisa Mazzei

Nosrat: Signor Bronzetti che cosa ha significato per lei la fotografia?

Bronzetti: Io l’ ho definita a mio modo una autentica espressione della realtà che a volte può essere pericolosa per l’esposizione stessa degli oggetti, della veduta, ma ad ogni modo ognuno pensa come vuole. E’ una gran bella cosa la fotografia in bianco e nero perché‚ è manipolata dalla stessa persona. Se noi poi ci allarghiamo andando verso la fotografia a colori ci accorgiamo che è più tecnica che altro. Oggi si spara a distanza con  i radar. Quindi io per conto mio ho continuato sempre con questa idea e mi sono trovato bene perché‚ la fotografia mi ha dato grandi soddisfazioni. Non tutto è stato per il mio merito perché‚ mi piace dividere queste soddisfazioni con i colleghi, affezionatissimi colleghi che mi hanno dato gioie. Comunque nella vita non si può avere tutto. Per averlo occorre aspettare, avere soprattutto la pazienza che è l’ elemento necessario per raggiungere un traguardo perché‚ è un traguardo infinito. La fotografia stessa non ha fine.

Nosrat:  Perché‚ l’ha definita un’ “autentica espressione della realtà ma a volte pericolosa”?

Perché‚ si potrebbero documentare e rendere pubbliche delle cose che non si possono documentare o che non si  vogliono fare sapere. Prendiamo l’esempio dello spionaggio.  Una volta anche un giudice sostenne cosi. Pure Ernesto Basile (1) mi disse: “tu ti sei dedicato ad un arma pericolosa perché‚ se ti dicono di fotografare un oggetto che fa ad altri dispiacere e poi una volta fotografato tu lo mostri può fare succedere qualcosa” ; ed è effettivamente cosi.

Nosrat: Lei ha parlato dei suoi colleghi con molto rispetto mi può nominare alcuni di loro e se è possibile mi dica quale fu la loro influenza professionale su di lei?

Bronzetti: Dante Cappellani (2) per esempio. Fu un gran signore. Una persona comprensiva, poi c’erano altri. Uno in particolare che è morto. Mi telefonava spesso si chiamava….. non mi ricordo. E’ morto. Sa! a volte la temporanea assenza della memoria… non mi viene adesso. Ad ogni modo. I fratelli Surdi anche essi furono graziosi; Piraino, anche Bonfiglio, Rubino, questi mi sono stati sempre vicini. Poi c’è Urso. Non saprei altri. Ma quello che fu molto vicino a me è stato Bonfiglio. L’ho cresimato io quando si sposò. Insieme a lui ci metterei anche Nicola Rubino. Si! Questi due poi sono andati in Argentina e da lì in America. Io questo passo l’ho fatto ma poi sono tornato, non sono stato capace di stare fuori dalla mia PATRIA, non dico il paese perché‚ questa è la mia PATRIA, dove io sono orgoglioso di essere nato.

Nosrat: Intende dire Palermo?

Bronzetti:Italia, Palermo. Mi vergogno oggi di dire di essere italiano. Mi vergogno per quello che c’è però sono orgoglioso di esserci nato, perché‚ anche i miei antenati i fratelli Bronzetti cacciatori delle Alpi fecero l’Italia che è una cosa stupenda, meravigliosa. Ritengo che non si possa vivere lontano da una città, da un paese dove si è vissuto tanti anni. Io non saprei allontanarmi nonostante tutto.

Nosrat: Siccome lei ha nominato Dante Cappellani, il celebre fotografo e suo coetaneo, vorrei che lei attraverso Cappellani stesso mi spiegasse un po’ il clima, l’atmosfera in cui si viveva la fotografia. Per esempio mi dica un po’, ovviamente se si ricorda, come lavorava un fotografo come  Cappellani?

Bronzetti: Dante Cappellani era una persona intelligentissima. Era il fotografo del club alpino. Quando andava fuori per fare fotografie era un po’ spericolato. Allora ognuno aveva una sua tendenza. Io mi sono dedicato alla fotografia industriale: fotomontaggi, i  grandi pannelli fotografici vetrificati. Una volta ho realizzato un ingrandimento che per quello che mi hanno detto è stato il più grande d’Italia: 10 mt. per 5 mt. Si trattava della copertura dell’officina d’ Eternit, il Cotonificio Siciliano. La fotografia l’avevo scattata dall’alto e poi ingrandita appunto 10×5 a strisce.

Nosrat: Queste fotografie oggi vengono definite pubblicitarie, lei le definisce…

R. Noi facevano dei grandi quadri fotogrfaici cogli elementi della natura: fiori, alberi; che poi venivano applicati e elaborati in un certo modo su un tavolo.              

A Palermo questi pannelli per primo li ho fatti io. Spesso subivano altri numerosi processi fino alla vetrificazione. Ne feci parecchi anche di questi.

Nosrat:. Come avveniva il processo di vetrificazione?

R). Molto semplice. Intanto debbo dire che la denominazione esatta è: “Pannello fotogrfaico vetrificato al poliestere”. Comunque, la fotografia stampata, in grande, veniva incollata bene su un pannello di  compensato. La si lasciava asciugare. Dopo veniva portata dal verniciatore. Li per primo il verniciatore spruzzava sulla fotografia del poliestere, si davano diverse mani per creare un certo spessore. Poi si lasciva di nuovo asciugare. Una volta asciugata veniva messa su un piano dove tramite una macchina veniva carteggiata. La carta vetrata usata per questo lavoro era assai sottile e perciò non danneggiava la fotografia e alla fine  rendeva tutto omogeneo. Dopo, un’ altra macchina, dotata di rulli particolari imbevuti di una sostanza, lucidava la superfice. Ecco tutto!

Nosrat: Era lei ad eseguire tutto il processo?

R. si. Meno la vetrificazione. Quello no.

Nosrat: Dunque è stato lei a cominciare la fotografia industriale?

R. No. Mio padre.

Nosrat: Suo padre..

R. Mio nonno (3) aveva lo studio in corso Vittorio Emanuele, Largo Santa Sofia. Vede in questa fotografia [mi indica una fotografia a colori che ben esprime la posizione topografica della loggia], qui si vede il posto dove era ubicata la loggia di Interguglielmi.. vede questo era l’ingresso.

Nosrat: Era una loggia?

R. Si! Il nonno aveva una loggia. L… ci sono andati   Crispi, Duca della Verdura, La regina di Romania, Ezio Garibaldi e tanti altri. La loggia fu la più antica a Palermo e’Interguglielmi, Seffer, Incorpora, poi Bronzetti. Mio padre abitava sotto la loggia del nonno e poi sposò la Celestina Interguglielmi. Ho ancora la fotografia di quando si sono sposati(4). Se vuole gliela faccio vedere? La loggia fu molto conosciuta. Il nonno ebbe l’incarico di fotografare tutti i ponti di Italia e tutti i cavalcavia e tutte le gallerie. Mio padre mi raccontò  che un giorno il nonno gli disse: ” te la senti Benedetto di viaggiare con Don  Giovannino?”. E lui rispose di si. Perciò lasciò il suo negozio di vini e intraprese questo lavoro. Questo impegno lo fece mancare per uno o due mesi, credo. Al ritorno il nonno gli propose di aprire un suo laboratorio nel ramo della fotografia industriale giudicando che lui, cioè mio padre, la “loggia” non la sapeva fare bene.

Nosrat: Nella loggia si eseguivano soltanto i ritratti?

R. Si. Solo i ritratti. Singoli e di gruppo. Mentre mio padre, nel frattempo  cominciò con le stampe eliografiche, con i lucidi ecc. I suoi clienti erano gli ingegneri. Aveva una vasta clientela: Basile, Armò, Capitò, Butera, Zanca, ecc. Da qui è nata poi la fotografia industriale: interni, esterni, riproduzione dei disegni. più in l… mio padre, vincendo un concorso, ebbe l’incarico (e per conseguenza ebbe pure due litigi a piazza Marina con quelli che avevano perso il concorso . Gli diedero dei pugni in faccia). Dopo  aver vinto questo concorso lo stato gli affidò il compito della riduzione in scala capillare della carte topografiche da 10.000 a 25.000 e io , piccolino, lo aiutavo in casa. Si lavorava dentro una stanza dove era posto un grande ingranditore che è stato costruito di proposito da Lamberti e Garbagnati con un condensatore di 35 centimetri di diametro con sistema di illuminazione ad  acetilene [ idrocarburo gassoso, incolore, che brucia con fiamma luminosa, serve come combustibile per la saldatura autogena e per l’illuminazione, Dizionario Garzanti.] che poi io l’ho trasformato in illuminazione elettrica. Allora si lavorava soltanto sulle lastre 24×30  di vetro. Non c’erano quelle piccole. Tutto in 24×30. Questo apparecchio esiste ancora. Io qui ho la fotografia dell’ apparecchio stesso [mi fa vedere una fotografia a colori 9×12 scattata nella sua abitazione attuale].

Nosrat: Come ha realizzato la sua prima fotografia?

R. Mio nonno ebbe l’incarico di realizzare una panoramica circolare di Palermo  dalla ciminiera della Centrale elettrica di via A. Volta. L’altezza della ciminiera era considerevole. Il nonno fu il primo a provare. Prese aria e si sentì male. E dovette scendere. Mio padre che soffriva di vertigini tentò ma non riuscì. Io, che ero sempre intraprendente, mi proposi . Nessuno mi prese sul serio: ” tu ragazzino a 14 anni vuoi salire l… su!”. Insistetti. Mio zio  Interguglielmi mi diede una macchina 10×15  con una coperta nera per coprire il vetro smerigliato e con tutta la roba  cominciai a salire i ganci di ferro esterni della ciminiera accompagnato da un giovane operaio della societ… elettrica stessa. Erano circa le 10.30. A mezzogiorno dato che la posizione della luce era favorevole ed io non ero più in controluce realizzai questa panoramica. Finito il lavoro presi la coperta nera e dalla gioia la buttai giù nel vuoto pensando di comunicare in questo modo la fine del lavoro. Mio padre che era sotto credette che fossi io. Svenne. E venne soccorso e portato in infermeria. Io scendendo ignoravo tutto quanto e mi trovai subito di fronte  l’ingegnere Enghel, di nazionalità tedesca che fu il direttore della società Shugher,  che aveva seguito l’andamento della realizzazione .    Appena lui mi vedi mi diede un schiaffo forte, cosi forte che ancora sento le conseguenze. E aggiunse: “hai ucciso tuo padre!”. Queste fotografie sono ora in possesso dell’Assessorato dei Beni Culturali. Era il 1922 e io avevo 14 anni. Dopo questa esperienza mi innamorai della fotografia. Poi aiutai più frequentemente mio padre. Ci fu il lavoro. Oltre a questo tipo di lavori mio padre faceva le  cartoline illustrate. Proprio nel corso di questa attività mio padre si prese una infezione in un dito dovuta ai ferri di cianuro di potassio e solfuro di sodio  usati per fare il viraggio. Non lo posso dimenticare. Ebbe 11 tagli e cosi tagliavano continuamente e levavano il pus e medicavano onde evitare l’amputazione del dito e della mano. Dopo questa infezione non potette più lavorare. Io dovetti abbandonare la scuola e cominciai a lavorare prima nello scantinato di Via Giorgio Gemmellaro per 320 lire al mese. Era un buon guadagno. E più in l… aprii  lo studio di via Dante e poi ancora quello di via Rossini (5) dove sono stato per 30 anni. Invece mio padre aveva lo studio a Piazza Verdi dietro il Massimo e nello scantinato del Palazzo Speciale. Nel periodo di apprendistato da mio padre io gli portavo la macchina con le lastre 24×30, era pesante però imparavo benissimo. A volte mio padre mi consultava per i tempi di posa. E i tempi di posa venivano calcolati con il giro della mano e non si sbagliava mai.

Nosrat: Vorrei ritornare di nuovo alla sua amicizia con Dante Cappellani. Vorrei sapere come egli lavorava?

R. Cappellani era vicino al Randazzo. Fu sempre bravissima persona. Randazzo era rappresentante di Casa Cappelli, ditta milanese che forniva le lastre in tutta l’Italia. Le lastre erano divise in lastre per disegno, lastre ortocromatiche per cui si lavorava con la luce rossa e lastre pancromatica per cui si lavorava con la luce verde. Comunque mio padre andava a ritirare le sue lastre 24×30 a dozzine e cosi conobbe Dante Cappellani e forse lo invogliò ad aprire un suo studio. Lui fece cosi ed ebbe la sua clientela.

Nosrat:Dopo la seconda guerra lei come..

R. Fui incaricato dalla rivista “Tempo” di Milano [ della attività fotografica per la rivista Tempo non è rimasto quasi nulla. Bronzetti aggiunge: “spesso mandavo il rullino ancora non sviluppato”, e, prosegue: “con loro ebbi poi una causa…”] e mediante un certo dott. Balestrini a fare fotografie che riguardavano tutto ciò che accadeva a Palermo. Poi lavorai per l’Istituto Luce ne fui il fotografo. Prima ancora avevo lavorato anche a Cine Città Partecipai come operatore alla realizzazione di un film diretto da Armando Falconi. Non giunsi al termine litigai con lui e me ne andai perchè Falconi mi voleva solo per le riprese esterne mentre a me mi interessavano molto quelle interne. Ma molto prima avevo fatto un film , nel 1928, ad Agrigento per la regia di Amleto Palermi: “Le confessioni di una donna” [il film non fu portato a termine]. Peccato che questo film non si sia più visto. Era una cosa stupenda anche perchè‚ in questo film recitava Enrica Fantes, la donna più bella del mondo. Io facevo l’operatore a mano. Mi ricordo in particolar modo di una scena: La Fantes doveva raccogliere dei fiori da portare alla sepoltura di suo padre. Mentre faceva ciò doveva piangere invece lei rideva e rideva. Amleto Palmieri che era il regista del film si dannava. Le chiedeva di piangere, ma nulla da fare. Arrivò un bel momento in cui io persi la pazienza e mollai la mia postazione portandomi verso di lei e le diedi uno schiaffo. Pianse per davvero e cosi approfittammo e girammo la scena. Debbo dire anche che noi due eravamo un po’ innamorati. In realtà io colsi l’occasione per vendicarmi del fatto che lei aveva tagliato alla garsonne i suoi bei capelli lunghi. Cosa che mi dispiacque molto. Insieme alla Fantes recitavano: Augusto Bandini, nel ruolo di comico. Era bravo. E Luigi Serventi, nel ruolo di fidanzato della Fantes. Il film era ovviamente in B/N e la macchina da ripresa era di legno e a manovella. Io, preciso, facevo le riprese siciliane. Ero, in realtà il sostituto operatore. Il primo operatore era un romano che poi avrebbe girato gli interni a Roma. Il mio lavoro riguardava gli esterni: le vie, il Tempio della Concordia ecc.

Mi ricordo che eravamo in tutto 9 persone e, si realizzava ogni giorno mezza ora di girato, poi si smetteva e si facevano le prove. In tutto ad Agrigento siamo rimasti 8 giorni. Io oltre ad essere operatore facevo anche le fotografie di scena. Scattavo utilizzando delle lastre 24×30. Esse sarebbero poi servite per fare i manifesti e le locandine del film. Amleto portò via tutte queste foto. A me non mi è rimasto niente. Non so come era nato il mio ingresso in questa faccenda, ma so che prima doveva andare mio padre.  Io percepivo 200 lire al mese.

Nosrat: Ha fatto altre esperienze cinematografiche?

R. No. Solo questi due film di cui non possiedo nessun documento. Sa, io sono stato un conservatore involontario. Conservavo però anche quando una pellicola mi andava male. E oggi sono utilissimi.

Nosrat: Dei suoi contemporanei chi ebbe la capacit… di usare la fotografia in modo diverso? O meglio ancora dopo la generazione di Incorpora, Interguglielmi, Seffer, ecc., perch‚ lei e Cappellani eravate considerati diversi?

R. Quelli della generazione precedente erano tutti ottimi ritrattisti. Operavano esclusivamente nella “loggia” e fuori niente. Io non ci sono mai stato nella “loggia”. Per me quella era la fotografia passiva. Io viaggiavo, andavo fuori. Sa, sono stato persino il primo in Sicilia a fare la fotografia dall’areoplano aiutato dal capitano Donato il quale mor poco dopo. Poi io continuai con il pilota Minrione il quale mor a Milano in un incidente aereo. Successivamente vola con il pilota meccanico Di Giorgio che fu pure addetto alla pubblicit… con l’aereo: esibiva durante il volo le strisce con scritte pubblicitarie; anche egli mor a Cerda in un incidente aereo. Poi non ho volato più con nessuno. Debbo aggiungere che volavo con gli apparecchi dei club Paiter e Felce. Dopo di me sono stati altri.

Nosrat: Come realizzava una fotografia dall’alto? Che tipo di macchina portava con sè‚?

R. Fu difficilissimo. Mi mettevo allo sportello laterale poi il pilota doveva eseguire la volata e nel frattempo io uscivo con la testa e la macchina – 10×15 a tendine 2/1000-  fuori e scattavo. Alcune sono state pubblicate.

19) D. E come gli è venuto in mente di fotografare dall’alto? Che cosa l’aveva stimolata?

R. Da piccolo mi piaceva l’ areoplano. Ne andavo pazzo. La prima fotografia dall’areoplano la feci dopo la guerra e fu per il Cotonificio Siciliano. Poi ne feci per i Cantieri Navali. Ne avrò scattate parecchie altre.

Nosrat: Dunque rifiutando la “loggia” lei ha fotografato dall’ “alto” e dall’ “basso” e….

R. Sono sceso anche nel mare con la macchina fotografica! Però dentro un globo e per fotografare i resti di una nave che ebbe una esplosione il 22 marzo 1942. L’operazione non riusci e io dovetti salire subito. Debbo dire che il globo veniva comandato dall’esterno. Insieme a me c’erano altri due operatori.

Nosrat: Nel periodo del suo apprendistato nello studio paterno la societ… culturale palermitana come giudicava il lavoro del fotografo?

R. Lo vedevano come un documento importante . Le racconto una cosa: un giorno l’ing. De Francis venne da me portandomi dei disegni a matita. Servivano delle riproduzioni per partecipare ad un concorso indetto dalla Banca di Italia. Si presentavano tutti gli ingegneri. Il disegno del ing. De Francis era a matita e su  carta bianca. Era difficile farlo venire bene. Gli comunicai la difficolt… e lui mi rispose che non aveva tempo di ripeterlo con l’inchiostro e che bisognava trovare una soluzione. Allora la notte non dormivo bene e in quella notte mi alzai e me ne andai allo studio e feci le fotografie riuscendo a portare i disegni a matita come se fossero fatti coll’inchiostro, l’indomani l’ing. rimase stupefatto. Durante la notte avevo trovato la soluzione. Sa, io ho due segreti della fotografia. li ho scritti e alla mia morte lo renderò pubblico. Non le anticipo la sorpresa.

Nosrat: D’accordo. Signor Bronzetti! Studiando le sue fotografie si ha la sensazione che esse siano scattate liberamente senza nessun vincolo alla commissione?

R. No! Al contrario. Tutte le mie fotografie sono fatte su commissione. A volte, raramente, anche sono prodotte per caso. E in questo senso mi ricordo di due fotografie per me eccezionali: io mi trovavo dentro l’automobile con Di Giuseppe direttore della Fiat. Avevo la macchina fotografica in mano e aperta. Vedo un gatto nero che corre come un pazzo e un cane lupo dietro di lui. A un certo punto il gatto fa un salto per aggrapparsi all’albero e in quell’istante io scatto la fotografia. Si vede il gatto che salta su e il cane lupo pure e che tenta di afferrarlo. Una scena veramente raccapricciante; l’altra fotografia fatta da Maria Adelaide. Si vede lei che lancia una palla di ferro (6). Nella fotografia si vede  prima la mano di lei e poi dietro di essa in una posizione contraria la palla. Gli scienziati hanno detto che come la mano è  più leggera nel momento del lancio la palla rimane dietro e la mano invece avanti. Non possiedo il negativo di questa fotografia. Forse è in possesso di Maria Adelaide. La data era all’incirca del 1925-1929…..non lo so con precisione.

Nosrat: Ora mi parli un po’ di come lavorava nella camera oscura?

R. Inanzittutto applicavo le formule create da me. Riuscivo ad inventare soluzioni per l’indebolimento dei negativi o per il rafforzamento delle lastre o dei  contrasti. Erano formule che in parte avevo appreso da mio padre. Posso dire che ero diventato un chimico della fotografia. Ero in grado di fare tornare una fotografia seppia di nuovo in bianco e nero.

Nosrat: Che tipo di carta usava?

R. Due tipi. Una molto contrastata che serviva per la riproduzione dei disegni; l’altra che era Agfa e prevedeva le diverse gradazioni:  morbida, normale, vigorosa, extravigorosa.

Nosrat: Anche nella camera oscura non praticava nulla delle regole della “loggia”?

R. Si. In più nello studio avevo l’impianto per la riproduzione dei disegni, e nello studio realizzavo i miei fotomontaggi. Quei miei fotomontaggi che realizzati per l’Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliana fecero cadere in errore persino Mussolini. Egli vedendo uno di questi fotomontaggi credette che quella casa fosse realmente realizzata ed inaugurata senza la sua presenza. Chiarito che si tratta di un fotomontaggio successivamente si informò su di me.

Nosrat: Come è arrivato al fotomontaggio industriale? Aveva un esempio, un precedente?

R. No. Niente. Creavo io.

Nosrat: Vede signor Bronzetti! Nonostante tutto quello che è stato detto e scritto su di lei inquadrandolo via via come fotografo del regime, come fotografo siciliano che spogliò le donne, o altro, io sono del parere che Lei abbia dato il meglio di s‚ nella fotografia di architettura ed in particolare modo nella fotografia di interni architettonici! Mi può spiegare come illuminava gli interni cos ben registrati in ogni dettaglio? Mi pare che la condizione della luce artificiale non sia ne piatta ne univoca, bens eccellente dovunque e senza nessuna arbitrariet…. Quale fu il segreto?

R. Sono perfettamente d’accordo. Io di solito non parlo di me ma in questo ero il migliore. Non a caso il mio biglietto da vista recitava cosi: ” Eugenio Bronzetti fotografo industriale e d’architetto”. Ad ogni modo mi ascolti: Impostavo la mia  macchina fotografica sul cavalletto. Usavo delle lastre o pellicole formato 6×9. La   macchina fu quella che le ho fatto vedere [ Maestro Bronzetti allude alla spiegazione pratica delle sue attrezzature fotografiche che mi forn di fronte alla telecamera], una magnifica Plaubel Makina. Mettevo a fuoco e all’infinito quando dovevo superare i 10 metri. Poi oscuravo del tutto l’ambiente non facendo entrare la luce diurna. Dopodich‚ con un proiettore a lampada elettrica da 500 W illuminavo camminando davanti all’obiettivo che lasciavo nella posizione aperta. Badi bene che non illuminavo mai contro l’obiettivo. In queste occasioni mi vestivo di nero per non essere illuminato io stesso dai riflessi per ciò qualcuno scherzosamente mi chiamava l’uomo  invisibile. Appunto cosi camminando illuminavo di volta in volta una porzione dell’ambiente . Terminando questa prima fase fissavo la stessa luce in un angolo a 45ø per creare le ombre. Per questa seconda illuminazione lascivo aperto l’obiettivo da 10 a 30 secondi. E a volte per eseguire questa seconda illuminazione sulla stessa lastra salivo su una scala per creare una luce angolata ma più diffusa. Finita poi questa seconda fase, se era necessario facevo entrare la luce solare frontalmente per registrare la trasparenza. In realt… questa era come se fosse uno scatto istantaneo e serviva per la profondit… di campo.

Nosrat: Molto molto interessante! Sembra un pennellare con la luce!

R. Si! L’espressione esatta è questa: pennellare la luce! Sa, questi lavori da me venivano realizzati o sul tardo pomeriggio quando la luce era debole o verso le 5 del mattino.

Nosrat: Mi racconti un po’ di come era allora il rapporto tra la gente e la fotografia?

R. Le donne avevano paura. Perch‚ allora erano  ancora molto riservate. Gli uomini invece no. Ci tenevano ad essere fotografati. Ma la gente comune usava la fotografia per scopi utilitari: foto tessere,ecc.

Nosrat: Senta, di solito quando si parla di Eugenio Bronzetti si dice subito che si tratta del fotografo che ha documentato la trasformazione della donna siciliana da un modo di essere ad un altro, poi si aggiunge subito: ha documentato la modernit……

R. Si! Si! dicono che ho spogliato le donne. Invece tutto era molto casuale. Non c’è stata un’ idea prestabilita. Mi capitava cosi per caso. Vede la famosa foto della ragazza con la vespa, si tratta della figlia del cugino di mia moglie. Io avevo la macchina con me lei stava per andarsene io la chiamai e  mentre si volgeva verso di me scattai quella fotografia. cosi!

Nosrat: Ma mi consenta, guardando queste fotografie viene fuori dall’insieme delle sue fotografie una attenzione assidua alla condizione della donna?

R. No! Sono fotografie fatte su ordinazioni!

Nosrat: Però lei signor Bronzetti ha dedicato molta attenzione anche alle ballerine, alle attrici ecc..

R. Ma non per principio o perch‚ volevo fare. Tutto rientrava nell’ambito del mio lavoro e basta. Ed effettivamente riuscivo.

Nosrat: Cambio l’argomento. Lei ha vissuto la situazione della fotografia prima e dopo della seconda guerra mi può dire quale differenza correva?

R. Si! La differenza è enorme. Prima era l’arte poi diventa solo industria. Basta cosi. Arte fotografica applicata all’industria, questo era scritto sulla mia carta intestata. Ripeto oggi c’è solo l’industria.

Nosrat: Mi può descrivere un po’ la situazione della “loggia” negli anni 30?

R. La loggia era composta dal fotografo e dall’aiuto fotografo. Sulla pratica della loggia mio padre mi raccontava che nel 1907 quando il Re venne a Palermo il sindaco Di Marzo incaricò Interguglielmi di fotografare l’arrivo e la cerimonia che doveva svolgersi nel foro Umberto I. Prima dell’ arrivo del re il nonno mise per terra un segnale dove Di Marzo doveva fermarsi insieme al Re perchè‚ egli potesse aprire l’obbiettivo a mano ed impressionare la lastra in modo corretto. Don Giovannino, il suo aiutante, nel frattempo aveva il compito di andare con la bici per prendere lo chassi con la lastra appena emulsionata. Tornato con la lastra sotto il braccio il re aveva già passato il segnale previsto. Don  Giovannino fa un cenno al sindaco e il sindaco prega il Re di tornare indietro affinchè‚ il fotografo, cioè il nonno, potesse fotografare. Allora il Re tornò indietro. E cosi si fece la fotografia.

Nosrat: I fotografi palermitani negli anni 30 avevano rapporti con altri fotografi fuori dall’Isola? Lei ha conosciuto i Fratelli Alinari?

R. Ecco dove volevo arrivare. Io no. Mio Padre si. Perchà‚ quando gli Alinari, che hanno un corredo fotografico di altissimo valore universale, avevano bisogno di fotografare certi oggetti di arte o quadri a Palermo e a Trapani, precisamente al museo di Trapani si rivolgevano a noi. Ma inizialmente loro si sono informati presso Randazzo per sapere se c’era qualcuno a cui affidare il lavoro. Angelo Randazzo fece il nome di Interguglielmi e questi affidò il lavoro a mio padre. Mi ricordo che al museo di Trapani mio padre doveva fotografare alcuni oggetti, quadri d’arte i quali erano situati nello scantinato. Non c’era la luce elettrica e si è rimediato conducendo la luce diurna attraverso gli specchi posti in un certo modo per potere condurrla via via già nello scantinato. Devo dire poi che non era molto profondo. Si trattava di pochi gradini. Le fotografie erano fatte cos. Nella circostanza io mi limitavo a guardare. Mio padre per queste fotografie fu pagato regolarmente. Qualche foto è smarita. Piacque per esempio lo scalone del Palazzo di Bonagia, tutto l’interno di Casa Trabia. Poi io più avanti feci per la Marchese De Seta il Palazzo Baucina, e ancora più tardi  anche a colori. Gi… che ci sono le racconto un altra  cosa: era scoppiata la guerra. Allora noi avevamo lo studio in via Dante nello scantinato dell’avv. Visconti. Io stavo fuori  Palermo per motivo di lavoro per la rivista “Tempo” viaggiavo, giravo l’Italia. Quando tornai mi recai allo studio dove avevo lasciato tutto quanto comprese le lastre. Cerco, appunto le lastre 24×30 non le trovo. Poi scopri che a causa del tremolio dei vetri per via dei bombardamenti i vetri dell’ abitazione si rompevano e l’avv. Visconti pigliava queste lastre e con l’acqua calda lavava la gelatina di sopra e dopo di che le adoperava al posto dei vetri rotti. Egli cosi ha distrutto un patrimonio di grande valore.

Nosrat: Quindi per il resto che fine ha fatto l’archivio di suo padre?

R. Oh! qualcosa ancora c’è. Qualcosa è stato acquistato dalla Regione. Ad ogni modo sono poche lastre quelle che sono rimaste. Tutte erano del formato 24×30. Allora, come già ho detto, non si lavorava col formato piccolo di tipo: 6×9, 9×15, 13×18, ecc. Poi c’era l’archivio del nonno di cui pure non è rimasto un granchè‚.

Nosrat: Invece il suo…

R. Tutto è salvo. Tutto.

Nosrat: Il suo archivio tra i negativi e lastre di quanti pezzi è composto?

R. 85.000. Li abbiamo contati.

Nosrat: lei ancora conserva personalmente il suo archivio oppure l’ha ceduto a qualche istituzione competente?

R. No! No! Ho tutto qui!

Nosrat: Come mai le istituzioni cittadine non si occupano del suo archivio?

R. Non vorrei  risponderle. Io non ho paura ma il problema è che io non ho fiducia , oggi, in nessuno. Le dico che è venuto poco tempo fa un gruppo di stranieri 2 donne e 3 uomini appartenenti ad una cooperativa angolo-olandese. Hanno visionato il mio archivio e mi hanno fatto una proposta alta affinchè‚ io cedessi l’archivio. Ho risposto di no. Non voglio fare della mia “casa” una colonia inglese. Io con gli inghilesi cel’ho sino dalla nascita. Sa, Io sono per due nazioni: la Danimarca e il Kenia dove si vive con gli animali. La pacifica convivenza con gli animali è un esempio della civiltà.

Nosrat: Lei ha conosciuto Enrico Seffer? Come era?

R. Ah! era un Signore. Bravissimo.

Nosrat: Le ho fatto questa domanda perchè nonostante che di lui sia rimato abbastanza tra le lastre e fotografie stampate non c’è nulla di scritto su di lui. Pare che non ci sia neppure una biografia  ragionata ed attendibile(7).

R. Perchè‚ allora non c’era tutto questa abitudine di presentarsi. Io al contrario ho cinque rubriche : note prese sul mio lavoro, poi ho anche l’elenco di tutti i miei clienti. Comunque Seffer era bravo in tutto. Non so da chi aveva imparato?

Nosrat: Mi può parlare di altri lavori “particolari” che lei ha eseguito?

R. Io ho lavorato in “Fototipia” o “Fotocollografia”. Era un procedimento che si applicava alla produzione di carta di valori. Esso consisteva in un lungo processo  preparatorio e costoso e, anche rischioso per la salute. Ed era il seguente: un vetro grosso ( di 2 centimetri di spessore e di nome Dal e di fabbricazione italiana) di sopra smerigliato concavo ai lati veniva messo sopra una fonte di calore , una specie di stufa o lampada a spirito; dove vi era posto a distanza un cassone di sabbia per uniformare la temperatura. Poi c’erano anche i cavalletti per determinare i livelli di distanza perchè‚ occorreva livellare le lastre sopra la stufa e rispetto alla intensità di calore. La confezione della gelatina di nome Nelssone veniva comprata già pronta però si trattava di dosarla e prepararla. Allora la gelatina veniva sciolto a bagno maria. Si preparava secondo la grandezza della lastra e dello spessore che si doveva creare. Dopo, questo preparato veniva versato sul vetro per poi,quasi subito, essere spalmato sul vetro medesimo tramite una bacheca angolata e di vetro. Badi bene che la  spalmatura avveniva  sopra la stufa accesa. Una volta  terminata la operazione si copriva la lastra sempre sopra la stufa e là la si lasciava per 20- 25 minuti. Dopo di che si apriva pian piano e se la gelatina era secca si spegneva la stufa e si procedeva a raffreddare la lastra. A questo punto la lastra era sensibilizzata però l’elemento bicromato che faceva parte della miscela chimica faceva si che la luce normale non influise sulla lastra, dall’altra parte c’era la  negativa e siccome il contatto sarebbe venuto alla rovescia dopo per cui si doveva staccare la gelatina e passarla ad un altra lastra. La gelatina poi veniva messa a contatto con un altro vetro e rinchiuso dentro lo chassi. Lo chassi era grosso, robusto:  si metteva prima la lastra poi questo vetro, e poi si chiudeva e lasciando tutto al sole per mezza ora. Una volta impressionata la lastra la si metteva nell’acqua corrente senza che l’acqua ci rimanesse sopra. Poi si asciugava all’ombra e la si metteva su un cavalletto triangolare per livellare e contemporaneamente si versava sopra la lastra l’acqua , sale, glicerina e ammoniaca, poche gocce. Questa gelatina poi cominciava gonfiarsi e veniva in rilievo. Le parti bianche divenivano profonde e le parti nere in superficie. poi si lavava la gelatina con la spugna e con la carta assorbente si asciugava e successivamente la si metteva in un torchio a mano, che era già e messo a livello. Si fermava il vetro con gli appoggi sul torchio e con un rullo di cuoio si dava l’inchiostro grasso e si passava tante volte e con forza sopra questa matrice. Dopo aver messo la carta si abbassava il torchio e alla fine in questo modo si otteneva la fototipia o fotocollagrafia, è lo stesso.

Nosrat: In pratica si partiva da una fotografia scattata normalmente?

R. Si capisce. Poi avveniva tutto il processo. Noi producevamo con questo metodo le cartoline artistiche della vedute della città Vede qui vi sono alcuni esempi. Tutto veniva firmato “Fototecnica Bronzetti”. Debbo aggiungere che il torchio l’aveva comprato mio padre di seconda mano per 2 mila lire. Noi eravamo gli unici in Sicilia a realizzare cosi e poi c’era un’ altra ditta però a Milano (8).

Nosrat: Deve essere stanco. Per concludere: il suo ricordo fotogenico più bello?

R: Il più bello?! Quella fotografia che vede sul muro. La è presente  tutta la mia famiglia [vedi la fotografia stampata nella pagine 4-5]. Si tratta del compleanno del nonno paterno (il nonno paterno che si chiamava Giuseppe insieme ai suoi due fratelli Francesco e Santo avevano una gioielleria nel corso Vittorio Emanuele); e si festeggiava il suo ottantanoveismo compleanno. La fotografia che è una sorta di auto scatto fatto a lampo di  magnesio il quale è comandato da me con un pulsante [vedi la nota alla’immagine]. Tutti siamo la dentro: mio nonno, mio padre, mia madre, mie sorelle ecc.. C’è un atmosfera di festa. Allora in simili occasioni si  preparava tutto: si inventava la musica, si facevano i costumi e persino si inventavano i balletti per la festa del nonno. Bellissimo! L’anno non me lo ricordo forse ’25, ’26 [dentro la fotografia c’è la data: 1931]. Sul negativo ci sarà la data. La Regione è in possesso di questo negativo.

Nosrat: Ora vorrei vedere insieme a lei un po’ delle sue fotografie.

R: D’accordo!

Nosrat: Grazie.

Nosrat Panahi Nejad

Casa  di E.Bronzetti 09/04/1994 Palermo
Note:
1) Ernesto  Basile (1857-1932), celebre architetto palermitano il quale progettò e costru alcuni monumenti cittadini tra i più importanti della nuova architettura palermitana. Ne citiamo alcuni: Villa Chiaramonte Bordonaro alle Croci, la facciata del palazzo Francavilla (ex Sperlinga, oggi Pecoraro, all’angolo tra piazza Vrdi e via R. Settimo), I Chioschi Vicari e Ribaudo in piazza Verdi, Villa Igiea all’Acquasanta, Villino Florio all’Olivuzza, Teatro Massimo, ecc. ecc.  Dice Bronzetti: “io ancor giovane lo conobbi tramite mio padre perch‚ egli fu  suo cliente. Come avevo detto precedentemente [ vedi la risposta alla domanda n 11 ] mio padre fu l’unico a servire gli architetti e gli ingegneri riproducendo i disegni e le carte topografiche in scala capillare”. E aggiunge: ” Io ho imparato molto dal  Basile. Spesso egli correggeva i miei errori. mi ha insegnato a tenere bene la macchina. Mi ha insegnato l’inquadratura e, soprattutto l’ importanza delle luci per ottenere una fedele profondit… di campo. Sa sono le luci che stabiliscono le distanze!”.
2) Dante Cappelleni (1890-1969). Uno dei più importanti fotografi palermitani appartenente alla seconda generazione. Contemporaneo di Bronzetti ed insieme a lui fu tra i primi ad uscire dalla loggia scoprendo la dimensione urbana e la mobilit… dell’occhio fotografico.
3) Eugenio Intergulielmi, nonno materno di Bronzetti e uno dei tre fondatori dell’ arte fotografica a Palermo. Gli altri due furono Incorpora e Seffer. Vedi il mio testo introduttivo alla mostra retrospettiva “La loggia fotografica di Enrico Seffer ” (1860-1970), Palermo Teatro Biondo stabile , 1996.
4) La ramifiaczione della famiglia Bronzetti si presenta nel modo seguente:
Suo padre Benedetto Bronzetti (9 nov. 1870 Palermo-12 dic. 1944 roma) spoa Celestina Interguglielmi (27 apri. 1880, Palermo-3 ago. 1957, Palermo). Dal loro matrimonio nascono quattro figli: Giuseppe (28 ott. 1904- 30 nov. 1944), professione architetto; Eugenio (1906 Palermo), professione Fotografo; Maria Rosa (1913 Palermo), sposata con dott. giuseppe Virzi; Annunziata (1925 Palermo), sposta con Salvatore Virzi.
Eugenio Bronzetti sposa Giuseppa Ferruzo di Monreale (19 marz. 1917- 18 apri. 1994). Dal loro matrimonio nascono tre figli: Rita (deceduta a sette mesi), Narciso (12 feb. 1939), Lucia (25 ott. 1942).
5) Cogliamo l’occasione per elencare tutti gli studi fotografici che ebbro i Bronzetti:
Benedetto Bronzetti: il suo primo studio fu  nella sua abitazione,®… : al quattro piano e senza ascensore, in via s. Martino. Il secondo fu un vero studio fotografico ed era ubicato in piazza Verdi dietro il Teatro Massimo. In realtà era situato nello scantinato del palazzo Speciale. In questo studio lavorò dal 1913 al 1929.
Eugenio Bronzetti: egli ebbe, insieme al suo padre, il suo primo studio in via Giorgio Gemmellaro. Fu di nuovo un scantinato. Poi si trasferisce   in via Dante n 91 dove operò autonomamente. Da  primo si trasferisce in via Rossini n 9 dove rimase per parecchio tempo sino al 1981. A causa di una caduta violenta, con la conseguente rottura delle costole e della scapola destra, dalla scale interna dello studio decide di cessare l’attività
6) Si tratta di una fotografia in bianco e nero che esibisce una ragazza impegnata nel gioco del “lancio della sfera”.
7) Questa conversazione è precedente rispetto al mio lavoro espositivo dedicato all’ attività de “La loggia fotografica di Enrico Seffer”.
8) Si tratta di una vasta produzione in formato cartolina che oltre a coprire  tutta la vedutistica di Palermo comprende anche i dintorni. Le cartoline sono spesso virate in seppia o in color verde. Hanno spesso lo stesso formato (6×10) e, recano a stampa tipografica il necessario per potere essere utilizzate alla spedizione postale. Tutte in basso portano la dicitura: ” Fototecnica Bronzetti”.
 

“Loggia fotografica Seffer” (1860-1974), Teatro Biondo Stabile di Palermo, 1996.

 

© Nosrat Panahi Nejad