Fotocomputergrafia
Nosrat Panahi Nejad
Palazzolo dei Diamanti
Centrovideoarte
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Essere e Non Essere
di
Ando Gilardi
Da quindici anni Nosrat Panahi Nejad viaggia nelle regioni della fotografia, dove prima di lui non è stato nessuno, o se fosse passato non ha lasciato memorie.
Questi viaggiatori da sempre appartengono ad una razza speciale che sopravvive a fatica nei campi delle arti, e che oggi peggio di mai è minacciata dall’estinzione. Eppure se la parola arte mantiene ancora un certo fascino e qualche valore, il merito è di loro più che di tutti gli altri creativi. Lo scopo di questi cercatori è quello di produrre degli oggetti che valgono più che per quello che appare alla visione pura e semplice, per la vicenda della genesi: più concretamente per il procedimento della loro costruzione.
Oggetti i quali rappresentano prima di tutto un valido motivo per ragionare degli scopi e delle intenzioni, e raccontare le avventure di un viaggio nei territori della ispirazione fantastica che trova in se stessa la propria gratificazione.
Un musicista sublime e immaginario, Adrian Leverkun, inventato da un romanziere tedesco dice che lo scopo finale della composizione, il vero godimento, è quello della scrittura sulla carta: lo spartito è l’opera; non l’esecuzione che è piuttosto una perdonabile debolezza: una quota residua della vanità infantile dell’artista che non sa chiudersi esclusivamente nella totalità dell’impresa, come dovrebbe.
Se questo criterio dell’estetica solitaria è molto difficile da ammettersi per l’arte della musica; per quella della fotografia risulta quasi impossibile e richiede un’enorme forza spirituale e forse il vizio estremo della solitudine.
Eppure l’arte più autentica della fotografia ha bisogno più delle altre forme dell’immagine, di trovare l’orgoglio di appendersi al chiodo se proprio non ne può fare a meno , con la parte grafica girata verso il muro. E con l’artista seduto davanti che in un momento di riposo con dovuta solidarietà per il prossimo amico e nemico, spiega il come il quando e il fine delle sue esplorazioni. La tragedia di questo momento storico che vive la fotografia, è quella della fine sociale del desiderio goloso, della fame dell’immagine. Per la troppa abbondanza dell’invasione, la fotografia ha ottuso il gusto critico insieme al piacere naturale della contemplazione. I veri intenditori di musica dicono che l’ascoltano meglio ad occhi chiusi. Di musica non ci intendiamo; però sappiamo per prova che questo isolamento vale per la fotografia: se ha salvato un significato ”profondo”, lo si capisce anche meglio chiudendo gli occhi e ascoltando l’autore che spiega le sue ragioni.
Nessun genere è stato costretto dal fracasso brutale dei mezzi della proliferazione, come fotografia, a Non Essere per Essere.
Per ci cerca, come noi, con fatica crescente di parlare e di scrivere sulla fotografia in una lingua che ancora possieda qualche spessore, questo eretico accordo tra l’immagine e il suo contrario, si manifesta in misura eccellente nel lavoro che Nosrat Panahi Nejad sviluppa con eccezionale impegno da quindici anni. Per questo fotografo iraniano la finta follia dell’essere per non essere e ancora per essere per tornare al non essere fotografia, non ha principio né fine: l’uno con l’altro principio si rincorrono senza tregua secondo il vizio più antico della Creatività che è Creazione.
La Creazione raggiunge uno scopo finale e dopo si estingue nella contemplazione che è nella sostanza l’inizio della decadenza. La Creatività non ha scopi definiti da raggiungere, anzi li vieta.
Dai punti mobili e senza numero dell’universo della Creazione, il viaggiatore che si gira all’indietro vede il miracolo dell’erba che si rialza dietro le spalle e nasconde il cammino percorso: la verginità dell’opera rinasce di continuo per l’eterno inganno consueto dell’arte e della poesia.
Il sentiero di Nosrat Panahi Nejad ora attraversa il digitale: è forse il fotografo che meglio di tutti ha capito il senso della traduzione in segni matematici delle forme analogiche apparenti della fotografia.
Solo apparenti perché nell’intimo questa immagine è fatta da sempre di SI e di NO, di 1 e di 0, di Essere e Non Essere, appunto. La fotografia, la prima delle memorie elettroniche: la più capace, la più poderosa è destinata a restarlo ancora per secoli.
segreto professionale
di
Antonio Costa
Già nella scelta del nome (fotocomputergrafia) è evidente la volontà di Nosrat Panahi Nejad di dare rilievo al procedimento, ai vari passaggi attraverso cui le immagini vanno definendosi.
Fotografia e grafica computerizzata convivono in una stessa immagine; si inglobano l’una nell’altra; si presuppongono e si “ superano” a vicenda.
Attraverso la manipolazione del digitale le immagini sembrano subire una mutazione. Quasi fossero dotate di un codice genetico, si attivano processi di cariocinesi, riproduzione in vitro, di geminazione, di miniaturizzazione e crescita.
Solo per approssimazioni sembra possibile parlare di immagini che evocano irresistibilmente un’archeologia del visibile, una paleontologia delle apparenze.
Stratificazioni,ibridazioni, tessiture: così ci si avvicina per suggestioni metaforiche a immagini che fanno pensare , di volta in volta, alla stratigrafia di un terreno, all’organicità dei processi biologici, alla trama dei manufatti.
“Istantanee” convivono con archetipi di due immaginari contigui (Oriente e Occidente).
Impronte del quotidiano entrano a scandire una diversa temporalità. Inserti di vissuto acquistano una diversa consistenza: ora vibrano nell’intermittenza di uno sguardo , di un ricordo; ora sembrano catturate nella tessitura di un ordine antico, di una metrica segreta; ora sembrano avere la consistenza silicea di reperti archeologici.
Immagini “antropomorfe” convivono con composizioni grafiche , astrazioni geometriche con tracce casuali, grafismi elementari, inserti. Pieghe, faglie corrugamenti di materiali si ricompongono in caleidoscopiche metamorfosi.
Al tempo del soggetto colto nella sua realtà fenomenica si sovrappone il tempo della manipolazione, della mutazione. Tracce di tempi diversi si distribuiscono in un gioco di simmetrie, repliche, scissioni, mises en abyme.
Sono immagini seducenti che attraggono l’osservatore in uno spazio in cui dentro e attorno all’omogeneità dell’analogico si insinua, dilaga lo scarto, la differenza.
Uno spazio in cui l’ontologia dell’immagine fotografica convive con l’arbitrarietà, la convenzionalità, la storicità del segno.
Spesso sono, esplicitamente, “immagini di immagini”, risultato i una logica combinatoria che a volte ci sembra di poter afferrare al di là dell’apparente casualità degli accostamenti e che a volta sembra sfuggirci nel gioco virtualmente illimitato delle variazioni. Una logica che, certo, appartiene alla sfera del “segreto professionale” e, insieme, a quella del “diario intimo”.
Ordine visivo delle sequenze:
Analisi I :Volti, corpi, situazioni. Immagini esposte 67
Analisi II: Il lenzuolo nel computer. Immagini esposte 27
Analisi III: Lucegrafia nel computer. Immagini esposte 25
Analisi IV: La mano. Immagini esposte 16
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Presentazione di Ando Gilardi -Antonio Costa
12 dicembre 1992-10 gennaio 1993