Il pozzo del teatro Conversazioni con Franco Scaldati Gaspare Cucinella Melino Imparato Fabio Cangialosi
Quaderni del Sarto
Quaderno II
Il pozzo del teatro
Conversazioni con Franco Scaldati
Gaspare Cucinella Melino Imparato Fabio Cangialosi
di
Nosrat Panahi Nejad
A cura di
Luisa Mazzei
Postfazione di GuidoValdini
Un ricordo di Giosuè Calaciura
Il pozzo dell’immagine di Nosrat Panahi Nejad
Associazione Compagnia di Franco Scaldati
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Dare voce e prendere il corpo
di
Luisa Mazzei
Dare voce e prendere il corpo, io credo che questa sia la bellezza e la forza del teatro di Scaldati e del nostro teatro,
perché io credo che non sia solo il teatro di Franco Scaldati, ma il teatro di tutti noi che lo facciamo
Melino Imparato
Io non riesco a immaginare una poesia che non sia detta da un attore in uno spettacolo,
io non ho mai scritto una poesia perché rimanesse scritta su un foglio e destinata a rimanere lì.
Franco Scaldati
Oggi, a un anno dalla scomparsa di Franco Scaldati, mi piace cominciare a ricordarlo a partire dalla
voce di chi ha condiviso insieme a lui l’esperienza, di chi ha condiviso con lui il viaggio, di chi gli è
stato più vicino, di chi gli è rimasto accanto, dalla voce di chi oggi ha la responsabilità di tenere viva
la sua vita-opera, non solo nel senso della conservazione e della raccolta del materiale che lo riguarda,
ma nel senso di una rielaborazione viva, artistica del suo teatro. Il tenere viva quella parola che non è nata per rimanere scritta, per rimanere
un segno sulla carta. Oggi più che mai chi è rimasto ha la responsabilità, l’onere di dare voce e prendere il corpo perché il teatro di Scaldati, come
gli suggerisce N.P.N., utilizzando una metafora sartoriale, è un teatro su misura degli attori dove la parola è costruita, creata su misura di quegli attori che vi
hanno partecipato che davano voce e prendevano il corpo dei personaggi. Più volte nel corso della Conversazione Scaldati torna a ribadire questo punto: “… Io non ho mai pensato di scrivere una poesia perché rimanesse scritta su un foglio, ma ho pensato di scrivere per gli attori”.
E il rapporto con gli attori resta tema centrale che attraversa tutte le testimonianze, il teatro di Scaldati non sarebbe esistito in assenza di un attore non solo creativo, ma anche creatore, un attore che non interpreta la parte, ma dà voce al personaggio, lo abita, siamo in presenza di una metamorfosi, l’attore
perde le sue spoglie mortali e diviene altro, anima, dà vita ad altro, a quel personaggio che gli era stato cucito addosso su misura.
È utile ripercorrere le prime fasi di questo percorso, e capire con le parole di Fabio Cangialosi e di Melino Imparato come nasce questo teatro. Nasce, in parte, dal sottrarsi al tempo della scuola da parte di un gruppo di ragazzini sedicenni che passava le serate protetto dalle fronde di un carrubo, passandosi
del vino e dando libero sfogo al gioco, all’ immaginazione, alla scoperta delle potenzialità espressive del dialetto, per approdare da lì a poco, in un contesto del tutto diverso, al quartiere Zen dove, tra il ‘69 e il ’70, una moltitudine di diseredati, che il terremoto del ’68 aveva lasciato senza casa, aveva trovato,
con l’aiuto degli studenti e di giovani militanti in gruppi politici extraparlamentari, la forza di occupare quelle case ancora da rifinire e assegnare, sorte in una landa desolata senza servizi e senza infrastrutture che era appunto lo Zen. L’idea era quella di portare il teatro tra quelle persone, ma le
lotte per la casa prendono il sopravvento e travolgono il progetto e lo scantinato, pensato per accogliere gli spettacoli, diviene invece il luogo del collettivo, delle assemblee. Diviene il luogo della speranza per gli ultimi, i diseredati, gli ubriachi, i ladri, gli scemi del quartiere, di tutti coloro i quali vi trovavano ascolto e dove si sentivano uguali enon emarginati. Sembra di assistere a un travaso e queste persone reali ritrovano nel teatro di Scaldati la loro assoluta
dignità, la loro imperiosa collocazione, la loro aristocratica follia e la loro voce che dà corpo alla lingua. A un certo punto della Conversazione Scaldati si domanda: “Cos’è la lingua se non l’espressione di una condizione emotiva?”. A dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che la lingua scaldatiana contiene
in sé la vita, è una lingua viva, una lingua che racconta di necessità primarie, come il bisogno di appagare la fame di cibo o di sesso, una lingua lirica che racconta la marginalità, una lingua che contiene la comicità e la tragicità della vita. Una lingua, il dialetto, che non contiene in sé la dimensione
del progresso, e anti progressista è il teatro di Scaldati non programmaticamente, ma perché spiega: “… Più sprofondi nei misteri di una condizione umana, più ti rendi conto della banalità dell’idea di progresso”. Prima di concludere mi piace tornare all’ immagine del carrubo evocata da Fabio Cangialosi per la sua pregnanza simbolica e mi permette di richiamare il testo che N.P.N. ha scritto in occasione della presentazione del video film Anselmo Calaciura, sotto il carrubo in cui il plurisecolare albero, frondoso e monumentale, caratteristico del Mediterraneo, viene visto come il luogo della narrazione: “…Sotto il carrubo nasce il desiderio e la condizione per il racconto…” e il pensiero di N.P.N. viaggia immediatamente all’ immagine del cuntista Genovese, ritratto da Nicolò Scafidi: “…Seduto sotto l’albero in
un lontano dopoguerra […] in una piazza Marina spoglia di tutto”, ai narratori delle gesta epiche descritte dal poeta persiano Ferdussi e raccontate dai naggàl, i cunta storie, aiutati dal liscio e secolare bastone, va ai rituali famigliari dell’immolazione dell’agnello e naturalmente torna a Calaciura che,
protetto in una sorta di teatro arboreo, prende a raccontare la sua vicenda che si intreccia con quella della città non solo attraverso il giornalismo, la cronaca, le recensioni, ma anche attraverso un impegno concreto creativo che lo vede cimentarsi nel teatro e gli consente di essere il primo a intuire
l’originalità poetica del nascente teatro scaldatiano, a capire che si trattava di un’esperienza importante, originale, la più carica di conseguenze, quella che più ha stimolato l’immaginazione artistica della generazione successiva. E Franco Scaldati era molto consapevole del fondamentale ruolo svolto dalla
critica quando a conclusione della Conversazione con N.P.N. sente spontaneamente il bisogno di aggiungere:
“ …Non è un caso che siano venuti fuori attori formidabili anche perché in qualche modo c’era una critica importante che ti aiutava ad alzare il livello delle cose che facevi…”. Concludo con i quesiti che Franco Scaldati definisce come fondamentali, e essenziali nell’agire del teatro: “A che serve? Chi sono gli interlocutori? Per chi faccio teatro? Con chi voglio parlare? Con chi intrecciare delle relazioni? Qual è la funzione del teatro?” Penso che queste domande siano un lascito importante
per tutti coloro i quali fanno o vogliono fare teatro, e Melino ne completa il senso quando dice: “…Non abbiamo mai pensato di fare un intervento sociale. Noi pensiamo che il teatro sia un punto di contatto, intanto fra di noi, poi con la gente…”.
Luisa Mazzei
nota del curatore
Tra marzo e aprile del 2013, in vista dei quarant’anni della sua attività, Franco Scaldati aveva espresso a Nosrat Panahi Nejad il desiderio di pubblicare nei Quaderni del Sarto la trascrizione della registrazione che era stata utilizzata per il videofilm Franco Scaldati il pozzo del teatro* e nella stessa occasione ripresentare il video. Per rispettare questo desiderio e per contribuire anche con questa testimonianza a costruire una memoria per le generazioni future abbiamo deciso insieme a Melino Imparato, che oltre ad essere attore è anche anima organizzatrice della compagnia, di andare avanti col progetto. Si pubblica qui di seguito quindi, l’intera
e fedele trascrizione della conversazione con Franco Scaldati e con gli attori Melino Imparato e Franco Cangialosi, che erano allora impegnati nelle prove della ripresa di Assassina, che Nosrat Panahi Nejad realizzò nel 2007, così come è stata registrata: con le ripetizioni, i salti logici e le sospensioni tipiche del parlato, della conversazione a braccio. Si è inoltre ritenuto di completare il percorso a ritroso delle memorie sulla genesi e la poetica del teatro scaldatiano con l’inserimento di una parte della lunga testimonianza di Gaspare Cucinella rilasciata a Nosrat Panahi Nejad in due diverse occasioni: la prima nell’agosto 2005, la seconda nel luglio 2008, per la realizzazione del videofilm Gaspare Cucinella ritratto di un attore. Guido Valdini è stato uno dei testimoni del nascente Teatro del Sarto, ne ha nel corso del tempo seguito la vicenda poetica ma ha anche recensito e seguito l’attività videomatica di Panahi Nejad a Palermo è il suo contributo, quindi, una sorta di sintesi fra l’estraneità dello sguardo del regista iraniano e il suo incontro con la città. Scritto sull’onda emotiva della notizia della morte di Franco Scaldati, il ricordo di Giosuè Calaciura ci riporta lo sguardo stupito e attonito del suo pubblico di allora, noi quindicenni che per la prima volta ci misuravamo con la città, con una Palermo nuda e cruda, senza più veli se non quelli della poesia.
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Schede del libro:
I Quaderni del Sarto – Quaderno n. 2
Conversazione con Franco Scaldati di Nosrat Panahi Nejad
A cura di Luisa Mazzei, Associazione Compagnia di Franco Scaldati , anno di pubblicazione 2015
Conversazione con Franco Scaldati
[Primo incontro 13/01/2007, San Saverio, Albergheria. Interno,
notte. Dal girato n. 1: la telecamera riprende Franco Scaldati seduto in poltrona, al centro della scena allestita per
le prove di Assassina, mentre ascolta un brano da Lucio.]
Nosrat:– Il pozzo dei pazzi, messo in scena il primo aprile del 1976, inserito in un contesto teatrale
che aveva tante anime, come nasce? Qual è stata la sua genesi?
Scaldati:– Come nasce? Nasce da uno stato d’animo particolare, cioè, nel senso che è stato un
periodo un po’ così, un po’ faticoso, anche un po’ tormentato ed è venuta fuori questa metafora,
credo, sull’ amicizia, sulla necessità dell’altro e sull’impossibilità di mantenere questo rapporto. Nel
particolare è questo. In generale, nasce da questa voglia, da questo desiderio, da questa necessità di
raccontare questa città. Ma, prima di allora, c’è da dire che Il pozzo dei pazzi non è stato il primo spettacolo,
credo che sia il terzo. Non è che questa città, in quegli ambiti, nel suo aspetto più profondo, la
città dei quartieri, non era raccontata ma, semplicemente per il fatto che io venivo fuori dai quartieri
ho preso a raccontare quella città, un racconto che continua fino ad ora. Il pozzo dei pazzi è uno
spettacolo che probabilmente si propone in maniera particolare, probabilmente anche un po’ diversa rispetto
agli altri spettacoli. Intanto è uno spettacolo che dal punto di vista dell’impatto col pubblico
funziona sempre e credo che sia uno spettacolo che abbia influenzato tantissimo, non solo in città, ma
abbia influenzato moltissimo l’universo teatrale. Uno spettacolo considerato il più importante degli
ultimi cinquant’anni. Lo hanno detto e scritto in tanti.Mah, cosa dire … è una specie di prodigio perché,
tra l’altro, è nato anche dalla combinazione, dall’ incontro con quest’attore straordinario che è
stato Gaspare Cucinella. Ci sosteneva una profondissima intesa, tant’è che non c’era sera che lo spettacolo
non inventasse qualche cosa. La capacità di inventare quell’ universo, avendo dentro quell’universo
e, quindi, essere, nel profondo, noi stessi la città che raccontavamo. E tant’è che molti si sono
chiesti perché non ho scritto o fatto altri spettacoli che in qualche modo si avvicinassero, si accostassero
al Pozzo dei pazzi. Il pozzo dei pazzi è uno spettacolo assolutamente unico. Difatti non mi interessa
fare gli “spettacoli”, mi interessa raccontare tutta una serie di storie vissute sotto aspetti diversi.
Il pozzo dei pazzi, tranne per l’attenzione dei critici, non è che avesse avuto un grosso successo a
Palermo. Ricordo che lo tenemmo per un mese e, mediamente, c’erano cinque spettatori a sera. Poi è
esploso, è esploso anche in seguito ai premi4 ricevuti
da un’altra città siciliana, Catania. È esploso, da allora, sempre con enorme successo, abbiamo
fatto centinaia di repliche.Anche con un po’ di dolore perché nell’ultima replica non c’era Gaspare, ma in ogni caso dobbiamo continuare.
Nosrat:– Da questo spettacolo, da questo testo che inizialmente non era un testo scritto compiutamente,
c’erano delle situazioni che poi venivano …
Scaldati:– Il testo era abbastanza scritto, era molto di più che un canovaccio, e il primo testo in qualche
modo era compiuto, c’era molto di più che una traccia, raccontava le storie. Tant’è che le invenzioni
e le cose venute fuori sono venute fuori nel rapporto tra me e Gaspare. Il resto è rimasto così
com’era, come era stato scritto. In ogni caso lì la traccia c’era. Questo contenzioso sulla gallina era
importantissimo, da lì scaturivano queste situazioni. Anche un rapporto così dolce e violento, tenero
e violento così come la vita stessa laddove, nel passaggio sopra un palcoscenico, la vita esprime
una verità che nella vita reale tende a rimanere un po’ sotto traccia, un po’ nascosta come se la funzione
del teatro … Non è, se è questo che vuoi dire, non è, comunque, un testo che può essere fatto tenendo conto della battuta scritta
in maniera definitiva, è chiaro che è uno spettacolo che necessita di uno stato d’animo di piena libertà e, quindi,
lì in scena è necessario vivere completamente questi personaggi e, vivendoli completamente, non puoi
essere così intrappolato dalla battuta detta con precisione, quindi devi avere anche questa capacità di vivere in maniera libera, cioè di inventarti la vita
così, inventarti i personaggi, inventarti le situazioni così come nella vita non sai mai quello che fai nel momento successivo.
Nosrat:– Questi personaggi così insoliti per quei tempi, nella situazione teatrale di allora, con diversità
di tendenze e anime, come furono accolti? Questo mondo da caverna, come tu dici, come veniva
concepito? Questa scrittura scenica completamente nuova come veniva recepita dalla gente?
Scaldati:– Rispetto ai tempi è diversissimo. Io credo, ripeto, che Il pozzo dei pazzi abbia influenzato
moltissimo il teatro di questa città e oltre.Mah, per quei tempi, era assolutamente una novità, insomma,
uno spettacolo che ha anticipato i tempi di almeno vent’anni. C’è stata, c’è stata molta difficoltà
ad accettare questo spettacolo a Palermo.
Nosrat:– Perché?
Scaldati:– Per il linguaggio estremamente duro, con modalità teatrali che erano una novità, riprendeva
le cose della vita portate sul palcoscenico e naturalmente filtrate dalla nostra sensibilità e di autore
e di attore e di attori. Ma era un fatto assolutamente nuovo. Il teatro comunque era la
quint’essenza della finzione. Ecco….