La dimora dello scrittore Antonio Pizzuto Ai Quattro Canti di Palermo

La dimora dello scrittore

In due occasioni sono entrato all’interno della casa natio di Antonio Pizzuto* sito nel Palazzo Napoli  Ai Quattro Canti di Palermo.

La prima volta in compagna di Franco Ciminato  e nella data di 17/03/1996  e con l’ idea di visitar filmando l’ambiente in cui sostanzialmente sono state concepite alcune delle opere narrative di maggiore rilievo  dello scrittore palermitano e , vale a dire: Signorina Rosina, Si riparano bambole.

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IL giorno dopo di questo ingresso e  durante le riprese della prima  intervista a Maria Pizzuto, ai fini di produrre un videofilm dedicato ad Antonio Pizzuto,  parlai con lei della condizione in cui si trovava sia la casa di Antonio Pizzuto che quella del nonno materno Ugo Antonio Amico.

Entrambi le case erano collocate al secondo piano e si separavano dai diciassette gradini. Da tale contiguità ne derivò, poi nel corso del tempo, una grande affascinazione ed interessi letterari tra il giovane Antonio e il vecchio Ugo Antonio, corroborata anche dalla grande vocazione poetica materna.

Il mio videodocumentario del 1996 dal titolo “Antonio Pizzuto 1893 -1976” ne dà un resoconto visivo dello stato delle case, e soprattutto della casa dove nacque lo scrittore,  sino a quella data. Allora l’assetto architettonico pur denunciando incuria e il degrado ancora conservava la planimetria degli spazi vissuti e narrati dallo scrittore alla fine de Si riparano Bambole.

A tal proposito vi è anche una lettera di Maria Pizzuto datata 11/12/1996 dove si legge: “Durante il mio soggiorno a Palermo il 4-5-1996, per commemorare la nascita di mio padre, motivo di speranza, proveniente da fonti diverse, la ventilata decisione di acquistare (a prezzo stracciato date le precarie condizioni dell’immobile), Palazzo Napoli, Ai Quattro Canti. Sembrava che L’assessorato alla Cultura volesse ridargli dignità e farne un centro di Studi Pizzutiani.  A Palazzo Napoli è legatissima l’opera narrativa: Si riparano Bambole, dedicata alle “Dilette Palermo, Erice e Castronuovo di Sicilia…”.

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* La seconda volta entrai nel Palazzo Napoli nella data 31/03/2009. Erano trascorsi  tredici anni. Il risultato visivo di questo “ingresso” ha generato questo piccolo e breve videodocumentario che dopo tanti anni ora ho deciso di montare e collocare nel mio sito. Il breve videofilm è accompagnato dalla lettura  delle ultime pagine di Si riparano bambole  e precisamente quando Pofi, protagonista del racconto, per ultima volta decide di rivedere la sua casa.

Anche questo brano audio con la voce di Maria Pizzuto appartiene al mio lavoro del 1996, e possiede intatto  sentori di un nòstos infelice.

 *AntonioPizzuto nasce in questa casa il 14 maggio 1893.

                                                                                                                                                                                                                                                Nosrat Panahi Nejad

 

 

 

© Nosrat Panahi Nejad  " Antonio Pizzuto, Sur le pont d' Avignon"

Da

“Si riparano bambole” 

di

Antonio Pizzuto

[…]

       Prima di chiudermi, egli disse d’un soffio, vorrei rivedere la casa dove nacqui, ritornerò presto, glielo prometto, lascio qui le mie cose. Ciascun viandante che scendeva la strada sempre diritto fu raggiunto ed oltrepassato. Ma Pofi non sostenne quell’andatura, era a sua volta raggiunto ed oltrepassato da tutti. Varcò Porta Nuova. Apparve la cattedrale, venne il liceo, e rasnte via del Giusino, piazza Bologni, ecco i Quattro Canti dalle quattro facciate simmetriche, quella sua sembrava aspettarlo. Egli la guardò di sfuggita, e così il portone passandolo. Subito dopo era una sfilata di splendenti vetrine lungo l’intero palazzo, dovunque specchi, accalcarsi di compratori, le commesse in grembiule azzurro, là incirca dove erano in mostra saponette e acque di colonia sotto l’illuminazione intensa, stavano un tempo alla mangiatoia i due morelli nella segreta scuderia odorosa buia e, incontro, oggi vestitini per bimbi fra multicolori palloncini, allora sul muro nerastro i finimenti, le inferriate, la panoplia di fruste, qui musichette da una fonte invisibile, là i ferri dei cavalli, lenti, a gocciole, contro il sasso. Di nuovo tornando indietro egli proseguì dritto. la terza volta varcò quella soglia. Nessuno gli si frappose. Del già vasto androne, assorbito ormai dal gran bazar, rimaneva appena un passaggio umile fino alle scale. Queste parevano altre, così dimesse, scolorite, meschine, dure a salire, ed un tempo fatte in terze maggiori. Sui ripiani sparite le caste statue dalle tede protese, di ogni loro nicchia non avanzava che una orbita devastata. Ansante egli passò le fughe marmoree, venivano quelle di lavagna, guardava senza vedere, dovette soffermarsi, poi la penultima, con il cavo dedaleo apertovi, a fronte una porticina ignota prima della loro, i pochi gradini successivi, e gli si presentò l’altra, mal ritinta, dal campanello guasto, Pofi bussò con il picchio. Silenzio. Non c’era nome. Rifece. Ed allora una donna aprì dove era già la casa di Masino. Chi cerca, gli domandò, non ci sta nessuno. Come lo permetteva l’affano, con parole rotte egli disse che era nato colà. Vi tornava per chiedere agli inquilini presenti di fargli rivedere le stanze. Non ci sta nessuno, la donna ripetè. E’ vuota. E a vederlo immobile, smarrito, lo indirizzò dal portiere come, suggerì, per prenderla in pigione. Ma Pofi non gli nascose il vero. Quello diede le chiavi a un figlio. La serratura non poco arruginita, vinta. Subitamente l’irrompere dall’oscuro ingresso nell’anticamera, e un muro imbiancato serrava quella fuga di bei salotti; per l’altro uscio, precedendo la guida intenta ad aprire imposte, gli si presentò l’antica sala da pranzo, e dritto, trascurati vicoli, per il varco di marmo la camera dei suoi nonni, col terribile sottoscala sulla sinistra, e il ragazzo schiudeva ancora il balcone, che già Pofi era oltre, passava la cameretta di Beatrice e Stella, rivide l’angusta scala adducente alle relegate stanze de primordiale vagire: tre volte la culla, tre quel munito lettuccio che poi, spianato, a scatti cresceva con loro, e raggiunto spiccava un salto, raggiunto ancora un altro; e Pofi non si coricava senza aver riposto sotto il guanciale i libri più cari, in verità un rito duretto cui erano incenso i fidibus zampironi. Stiamo amore a vedere la gloria nostra. Egli si inerpicò ma stentando fino ad emergere col capo a livello. Irriconoscibile. Apparve uno stanzino tutto vestigia di pollaio. Gli scalini malfermi. Li discese con infinito cautela, senza voltarsi nè lasciare i sostegni. Da basso due occhi lo seguivano, altri che ai tempi. E incolume, via per il corridoio cinto già di scaffali, e subito fu dinanzi l’uscio del nonno. Come appariva piccino l’antico studio, privo di librerie, e un altro muro a calcina tappava dal lato opposto il giro di stanze. Unico intatto il bislungo armadio, dove era la bottiglia del rum, con le sue scansie, col parato color marrone. Indietro, per la scorciatoia, traverso l’eremo di Stella, rasente poi il terrazzino., ripassando la sala da pranzo, si ritrovò in cucina, l’acquaio a volte stanza di anguille, i fornelli; per l’inferriate, rimpetto, la finestra cui si accostava il cieco rivolto al sole, ben vicina oramai. Finito. Ma di ritorno all’ingresso, ancora egli si affaciò nell’anticamera, gli occhi in gù ai mattoni uno bianco uno rosso, quelli medesimi; ancora si scorgevano sul butterato battente in abbandono piccole scaglie lucenti dell’antica vernice avorio. Per ultimo Pofi si precipitò sulla scorta che, affaccendata a richiudere, vedendoselo addosso temette, fece mamà, voleva soltanto baciarlo sulla fronte, donargli una monetona. Giù, al ripiano nobile, i riquadri tutti bicolori ghirlande sul pavimento consunti apparivano pur belli…

Dal “Si riparano bambole” di Antonio Pizzuto

Copyright © Nosrat Panahi Nejad  " grafia di di Antonio Pizzuto 11"Copyright © Nosrat Panahi Nejad " grafia di di Antonio Pizzuto 13"

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