La vaga infanzia
Discontinuità e racconto
di
Salvatore Tedesco
“Ma il rapporto da linguaggio a pittura è un rapporto infinito”. Si potrebbe intendere della fotografia quanto Foucault dice della pittura, ci si può tornare a interrogare sulle sottili venature e sulle segrete affinità che tengono insieme la parola, la narrazione, e la sua sintassi, e l’altra sintassi, quella della costruzione delle immagini, quella della loro storia, e appunto il carattere infinito di questo accostarsi e distanziarsi di parola e immagine, e il rintracciarsi sempre diverso della possibilità del racconto.Nosrat Panahi Nejad presenta una sua antica sequenza, La vaga infanzia, sequenza di una rara forza espressiva, nella pulizia formale e nella evidenza e semplicità della narrazione, che dalle domande,dai percorsi che si dicevano, è tutta attraversata, che di esse è la sensibilissima tessitura.
Queste immagini sono dei primi anni settanta; quasi vent’anni dopo, Nosrat nella sua Riparazione d’Orlando, darà di questo rapporto con la parola una formulazione estremamente densa ancora nella fotografia di un bambino, che contempla la parola “morte”, scritta su uno scenario dipinto, nel teatrino dei pupi; è se vogliamo, la grande allegoria benjaminiana dell’unione di parola e immagine nella didascalia; allegoria, e dunque in primo luogo coscienza, racconto della distanza.
Dalla stessa atmosfera affettiva nasce La vaga infanzia, che è la messa in scena del distacco, è il viaggio di due bambini, lontano dalla casa – nel graduale e progressivo corrispondersi dell’ambientazione esterna e della concentrazione interiore, della sua fisicità e gestualità compressa – sino a distese di una spiaggia, interrotta da spezzoni di tronchi piantati per traverso – e c’è un farsi architettura, un mimetismo arcaico, da statue o colonne lignee, dei bambini – e la distanza propria, interna, connaturata alla sua luminosità, dell’elemento marino.
Discontinuità e racconto, limite e costruzione, sono dunque i materiali di base e in qualche modo il senso dell’intenzione stilistica di questa sequenza, che
qui si incontrano con il senso della storia che ci è raccontato: quell’ingorgo, quel serrarsi del mondo affettivo al primo inizio dell’adolescenza; e proprio in questo, racconto e mezzi artistici sembrano nascere insieme, istituire insieme questo limite – è lo stesso il “farsi architettura” dell’immagine e delle figure che la abitano – scoprire insieme la densità del gesto, della posa, ultima possibilità di dire la vaga infanzia.
La sequenza è stata realizzata in Iran e nei pressi di Mar Caspio e nel 1973.