Le fotografie di Abbas Kiarostami

Le fotografie di Abbas Kiarostami*

di

Nosrat Panahi Nejad

In lingua Farsi il termine usato per indicare la fotografia è Aks. E da tale sostantivo si forma il verbo composto “Aks greftan” , che allude all’azione di fotografare. Più precisamente il sostantivo “Aks” significa “il rovescio”, “il ribaltato” di ogni cosa.

Dunque è generale convinzione che la grafia della luce non sia altro che un fedele “contrario” o un esatto “rovescio”. Già nella lingua Farsi, troviamo quindi una concezione non mimetica della fotografia e dell’azione del fotografo.

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L’anteprima italiana delle fotografie di Kisrostami   a Palermo si concentra in  un corpus di cinquanta fotografie scattate interamente con un obiettivo 50 millimetri e una pellicola a bassa sensibilità e a colori. Tutte le immagini presentate, in questa esposizione,  fissano da lunga distanza e con una marmorea staticità dell’occhio, lievemente e volutamente sfocate, alcuni aspetti del paesaggio nordico e centro nordico dell’altipiano iranico. E ritraggono vaste spazialità nella mutazione e nella scansione luminosa delle giornate, durante la primavera, l’autunno e l’estate.

Le prime 20 fotografie sono realizzate tra il 1992 e il 1995 nel volgere dell’estate e dell’autunno, ed hanno come scenario i dintorni delle città di Rudbare situata nella regione di Killan sul mar Caspio: sono le immagini dei luoghi e delle ambientazioni naturali utilizzati dal regista per la sua famosa trilogia filmica composta da Dov’è la è casa del mio amico? (1987), E la vita continua…(1992), e Sotto gli ulivi (1994). Le altre invece sono state realizzate nella primavera del’95 sulle colline intorno a Teheran e riguardano i luoghi dell’ultimo film, Viaggio nel mattino [ poi, Sapore delle cigliege] .

Giacché l’autore ha deciso di mostrare queste immagini come un corpus organico e come espressione a sé stante, dunque distinto dal loro valore di annotazione e di schizzo registico, tenteremo di farne una lettura autonoma, cercando di capire qualcosa di più della visione del mondo del cineasta persiano.

La scelta del paesaggio come soggetto, può essere intesa anche come un allontanarsi dal costruito, dall’artifizio drammatizzato. Nel tendere

verso la natura espressivamente ed esteticamente, vengono messi da parte altri elementi riconducibili al dominio del sapere logico. Tali elementi- la geometria, la volumetria, la profondità di campo-, con la loro intrinseca complicanza tematica, in realtà tolgono allo spazio “natura” la sua libertà formale non logica.

Dal punto di vista autoriale, l’accanita ricerca nell’esprimere la natura attraverso il paesaggio suggerisce una conciliazione tra la natura e il sapere. Suggerisce una fusione tra i due mondi, forse in partenza unitari (reminiscenze della “Nostalgia” di Durer !?).

Aks greftan qui è inteso come un’attività autonoma. Nel caso di un regista come Abbas Kiarostami, potremmo dire che è nella solitudine dell’esperienza di fotografo che egli raggiunge la condizione ottimale per la realizzazione della sua attività creativa e, nella staticità-sinteticità di un fotogramma, l’espressione del suo pensiero. Forse non è azzardato dire addirittura che nell’atto del fotografare Kiarostami ottiene la sintesi della sua idea di cinema: l’équipe più ridotta e il film più breve.

Qui, infatti, i livelli di intermediazione della trasmissione verbale e della meccanica pellicolare si riducono a nulla. Qui tutti gli elementi dinamici della ripresa filmica si condensano in una immobilità del punto di vista: per ogni scena si seleziona un unico angolo di ripresa. Per ogni fotografia si medita a lungo, deridendo l’accademia dell’”istante fuggitivo”. In questi paesaggi svuotati della figura umana, l’idea e il sentimento quasi sempre sono espressi da un punto di vista centrale. Non si ha né la ripetizione della stessa scena, né la fretta nel riprendere. Guardando, si inventa il silenzio visivo. Al contrario, la spazialità urbana è di per sé sinonimo del dramma, dell’architettato. E visti in termini cinematografici, questi due mondi- la natura svuotata dalla presenza umana e la città- potremmo paragonarli rispettivamente al “non racconto” e al “racconto”. Perciò salta in primo piano, anche attraverso queste fotografie, il nucleo primordiale e anti narrativo del cinema di Kiarostami. I due registri linguistici, cinema e fotografia, corroborandosi a vicenda premiano e rafforzano l’unica Weltanschauung. Anche qui l’atteggiamento complessivo asserisce la sovranità dell’occhio, il quale è esso stesso soggetto a variazioni e spostamenti epocali di uso e di gusto, non subordinandosi a costruzioni preconcette.

Le fotografie di Kiarostami, insomma, ci conducono ancora all’eterno problema del racconto e del non racconto. E alla conseguente rilevanza del marginale, rispetto ad un’architettura tematica ridondante e obsoleto che impedisce la libertà dell’occhio: e nel cinema e nell’ Aks Greftan

*L’ anteprima Italiana a Palermo , Real Albergo dei Poveri, 18/27 marzo 1996

 

 

© Nosrat Panahi Nejad