Loggia Fotografica di Enrico Seffer
di
NOSRAT PANAHI NEJAD
1- Nella Palermo di fine Ottocento l’arte fotografica era oramai diffusa e, in particolare, la scena cittadina era dominata dal binomio Incorpora (1) Interguglielmi(2). Solo più tardi, e non senza sforzo si inserì Enrico Seffer riuscendo ad affermarsi e a costruire il terzo nome di rilievo.
Enrico Seffer (1839-1919) era di estrazione media. Suo padre Pietro Seffer (1777-1860) esercitò il mestiere di caffettiere a Palermo (3).Non si hanno elementi per affermare che Enrico si sia formato presso la “bottega” di qualche altro fotografo. Anzi, con ogni probabilità deve avere imparato da sé i segreti del mestiere passo dopo passo fino a quando, dopo essere entrato nella “loggia fotografica” di D’Alessanro(4), come direttore, fini per rilevare divenendo unico gestore.
Gli inizi della sua attività coincisero con la diffusione, in larghi strati sociali in ascesa, della moda del ritratto fotografico (5). Per primo Enrico, poi i figli e, in fine i nipoti con bravura e fiuto tennero massimamente presente questo dato. Infatti, ben presto, fare ritratti dei membri di questa classe in ascesa divenne la loro principale attività. Ecco l’accumularsi di una moltitudine di volti ritratti: bambini, casalinghe, militari, religiosi, padri di famiglia, sposi, ecc.
A costoro i Seffer suggerivano mimiche teatrali traslate in fotogenia, li inserivano in varie ambientazioni col sussidio dei trome-l’oeil. Cosicchè la moda del ritrarsi, privilegio e vezzo della aristocrazia cittadina, finì definitivamente col diventare uno dei divertimenti più accattivanti della intera città. E la “loggia fotografica” Seffer diventò una autentica memoria ottica di fascinazione.
In realtà nell’immaginario collettivo di questa piccola e media borghesia l’idea del ritrarsi venne vissuta come una vera e propria elevazione di rango. E, la consustanziale assunzione fittizia ”dell’altro da sé”, che è l’intimo di ogni ritratto, veniva sostenuta, corroborata e magnificata. Ecco quindi la famiglia borghese e medio borghese assumere nel “luogo” del ritratto l’aura accademica della posa e proporre il proprio status visivo come un valore da contrapporre alla oramai declinante aristocrazia locale. Ecco volti femminili immedesimarsi nelle espressioni della attrici teatrali con lo sguardo trasognante da romanzo d’appendice;o al contrario vedre, il religioso farsi immagine della pietà stessa!
2-
Cerchiamo di ricostruire il cammino fotografico della famiglia Seffer e quindi della “loggia fotografica” partendo dalle indicazioni pubblicitarie stampate davanti e a tergo dei foto ritratti eseguiti da Enrico prima, poi dai suoi figli, e infine dai nipoti(6)
a) Enrico Seffer: il capostipite ” E.Seffer, premiato stabilimento fotografico, Palermo,Salita S. Domenico oggi Giovanni Meli, 68.”
Così recita la primissima indicazione pubblicitaria che compare sul retro dei fotoritratti eseguiti da E. Seffer. Ma, contrariamente a quanto si pensa, la famosa “loggia” di salita S. Domenico non è stato l’unico stabilimento fotografico di Enrico.
I due suoi studi precedenti si trovavano uno nei presi del “corso Vittrio Emanuele”, Palazzolo Conte Capaci, Casa Viola, n. 33” e l’altro denominato “Fotografia Italiana” si trovava sempre nel “corso di Vittorio Emanuele strada Maqueda, vicolo Marotta, Palazzo Principe S. Vincenzo, n. 360” (vedi l’immagine n. I e II).
Allora correvano gli anni intorno al 1860.
Il trasferimento di Enrico da vicolo Marotta a via Meli avviene in seguito all’invito fattogli dal fotografo D’Alessandro a cogestire insieme lo studio fotografico di Quest’ultimo che si trovava appunto in “Salita S. Domenico” (vedi l’immagine n. III).
Enrico a poco a poco all’interno dello studio guadagna una posizione preminente sia come fotografo dell’atelier sia come impresario. Finisce poi in breve tempo per rilevare lo studio di D’Alessandro divenendo quindi l’unico gestore e nello stesso tempo l’unico fotografo.
Inizia così l’ascesa dell’eccelso ritrattista di Palermo. Stabilitisi definitivamente in via Meli, Enrico vende anche l’ultimo “stabilimento di vicolo Marotta” e si concentra sull’attività della “loggia” trasmettendo la sua art-professione ai figli.
Tuttavia occorre precisare che, nel complesso, di questo primo periodo della attività della “loggia” non si ha molto materiale. Le lastre e le stampe a causa dell’ultima guerra ed anche per l’incuria sono quasi interamente,salvo qualche eccezione, smarrite o distrutte.
b) La generazione dei figli: ” E.Seffer & Figli, premiato stabilimento fotografico, Palermo, Salita S. Domenico oggi Giovanni Meli, 68.”
Questo secondo periodo è contrassegnata da una lieve ma importante modifica nella denominazione della ditta: l’aggiunta della parola ” Figli”.(vedi l’immagine n. IV)
Enrico aveva, infatti, tre figli maschi: Pietro(1873-1947), professore di matematica e fisica, che sarà l’unico a continuare l’attività paterna fino alla propria morte; Michele (1875-1948), fotografo anche egli, il quale però dopo avere sposato Giuseppina Randazzo, si distacca dallo studio paterno e quindi apre il proprio studio in Via Liberà: ” Argo foto”(7); ed infine Achille (1879-1932), di cui non si hanno notizie esatte.
In buona sostanza dei tre figli chi continua in modo ininterrotto l’eredità paterna è Pietro Seffer.
c)La generazione dei nipoti: ” Fratelli Seffer, premiato stabilimento fotografico Salita S.Domenico oggi Giov. Meli, 68.”
Dei quattro figli di Pietro: Enrico (1901-1922), Marietta (1900-1916), Domenico (1909-1970) e Ugo (1912-1969), è Domenico detto Mimì a seguitare l’attività del padre e del nonno. Egli lavora secondo lo stile dello Stabilimento utilizzando la tecnica tradizionale e privilegiando l’uso delle lastre. Mantiene anche uguale la grafica dei porta foto, dei pieghevoli e dei passe-partout. E continuò l’attività di fotografo fino al 6 agosto del 1970, giorno della sua morte avvenuta nella camera oscura a causa di un infarto.
Di questa ultimo periodo abbiamo numerose stampe fotografiche e lastre di vario formato. Questo materiale presenta una gradevolezza di stile, del modo di presentare i soggetti insieme alla varietà dei trompe-oiel che non può essere il risultato di una improvvisazione tecnica. E’ logico pensare che tutto ciò sia la conseguenza di una modalità lavorativa consolidata ed ereditata dai periodi iniziali della “loggia”.
La caratteristica peculiare della “loggia” Seffer: è il ritratto eseguito secondo i dettami della tradizione: precisione, nitidezza, composizione soave dei personaggi ma mai verista. Tale caratteristica diventa pure, nel corso del tempo, l’elemento decisivo che pone fine all’attività della loggia stessa.
Ci spieghiamo meglio:
Domenico insieme ai suoi due ritoccatori di nome Pappagalli e il più anziano Vella non curanti dei cambiamenti tecnologici velocissimi che avvenivano nel campo della fotografia, continuarono in un modo ostinato a portare avanti la pratica fotografica tradizionale. Fuori dalla “loggia” la mentalità fotografica istantanea che nel frattempo si era imposta individuava nello spazio aperto il suo alleato principale. Imperversava e conquistava attenzione.
Il superamento della “loggia” è quindi già ampiamente avvertito dai primi fotografi della nuova generazione come Dante Cappellani (1890-1969) e Eugenio Bronzetti (1906-1997) che la rifiutano del tutto.
Eugenio Bronzetti durante una conversazione con me definì la fotografia della “loggia”” “statica “ e “Passiva” (8).
Ora, con la comparsa dell’ultima generazione dei fotografi palermitani a ridosso della II guerra mondiale, in una situazione socio-politica ben diversa rispetto agli inizi del secolo, e con i fotografi girovaghi come Giaggioli (coi suoi stupendi servizi sulle mattanze, sui solfatari),i Fratelli Urso, Martinez, Scafidi ed altri, riceve il colpo decisivo.
Nella mutata condizione per farsi fotografare non si va più allo studio. Il dopoguerra trasforma l’occhio fotografico in un modo inequivocabile mobile e girovago. E, ahimè, prepara il terreno per un’ ampia accoglienza dell’accademia dell’ ”istante fuggitivo”, la quale fa tabula rasa delle complesse regole e dei rituali della produzione. E soprattutto scinde il lavoro dell’occhio da una pregnante commistione con la manualità.
Tornando all’ esame delle diciture pubblicitarie Seffer in questa ultima fase la parola ” Fratelli” allude esclusivamente ad una questione di proprietà e non di pratica fotografica.
A lavorare nella “loggia ” c’è solo Domenico. Con la morte del quale la “loggia fotografica” della famiglia Seffer cessa definitivamente la sua attività quasi secolare.
Della triade Giuseppe Incorpora, Eugenio Interguglielmi, Enrico Seffer, è proprio questo ultimo ad essere quasi dimenticato sia dalla ricerca storiografica, la quale è comunque scarsa e sporadica, naif, sia dall’ attenzione degli organi istituzionali competenti!
Destino strambo per il ritrattista forse più popolare di Palermo(9).
Note:
(1)Giuseppe Incorpora (1834-1914), cavaliere del regno ebbe “…tra [i suoi] clienti più ragguardevoli Re Umberto e la Regina Margherita, i quali [furono] tanto soddisfatti delle foto eseguite da aggiungere alla parcella un prezioso fermacravatta in smalto azzurro ed oro con una “U” in brillanti ed a conferirgli, nel novembre del 1880, il Brevetto Reale autorizzandolo ad innalzare lo Stemma reale dell’insegna del suo studio”.
Inoltre vorrei ricordare che Giuseppe Incorpora negli anni in cui Enrico Seffer iniziava la sua impresa strinse un sodalizio fotografico col francese Eugenie Sauvester per la riproduzione di vedete stereoscopiche scattate a Palermo.
In, Ing. Salvatore Incorpora, “Gli Incorpora Fotografi a Palermo”. Dal 1860 al 1840. Testo inedito.
(2)Eugenio Interguglielmi aveva la loggia fotografica in Corso Vittorio Emanuele, Largo Santa Sofia. In un’intervista rilasciata a me e pubblicata in “Eugenio Bronzetti il fotografo”, 1997, Palermo; Eugenio Bronzetti, racconta così: “ … dalla loggia di mio nonno che era la più antica a Palermo sono passati personaggi illustri come F. Crispi; il Marchese Duca della Verdura; La regina di Romania; Ezio Garibaldi e, tanti altri.”
(3)Dalla licenza di sepoltura Pietro Seffer (1777-1860), sepolto nel cimitero dei frati cappuccini. Il cimitero da luogo di sepoltura destinato solo ai frati col tempo accolse anche i resti di uomini e donne illustri, e professionisti.
Da questo documento ricaviamo che Pietro fece il “caffettiere”, un mestiere nuovo che riscosse molto favore. Si sa che nella prima metà del 19° secolo i “caffè” palermitani erano nel loro pieno splendore, essi assolvevano contemporaneamente alle funzioni di bar e di ristorante.
(4)Non si hanno allo stato attuale notizie sulla attività di questo fotografo.
(5)”il ritratto fotografico corrisponde a uno stadio particolare dell’evoluzione sociale: L’ascesa di larghi strati della società verso un più alto significato politico e sociale. I precursori del ritratto fotografico sorsero in stretto rapporto con questa evoluzione.”
Gisèle Freund. “Fotografia e società”, Einaudi, 1976, pag. 7
(6)Tutta l’arte della grafica applicata a pieghevoli, porta foto e passe-partout di vario tipo, colori, misura, conferma oltre alla finezza del gusto anche una certa mentalità dinamica ed aperta di Enrico Seffer.
In generale alla fine del secolo scorso e agli inizi del°900 la grafica applicata ai supporti cartacei dell’immagine ottica veniva concepita come parte integrante dell’immagine fotografica stessa. Tale concezione generò una nomenclatura vasta ed un uso specifico per ogni formato e tipologia di fotografia
(7)Tra il materiale rimasto agli eredi alcuni ritratti di carattere familiare e privato recano la firma di “Argo Foto”.
(8)Intervista già citata., Vedi nota n. 2.
(9) “Menzione Onorevole” gli viene conferita durante l’Esposizione Nazionale 1891-1892 a Palermo. Vedi: “La Esposizione Nazionale 1891-1892”, catalogo illustrato della mostra etnografica siciliana ordinata da Giuseppe Pitrè, pag. 248, ed. Novecento.
© Nosrat Panahi Nejad