Quaderni Pizzutiani – 3
The Book, the book’s visual elegance
Questo Terzo quaderno pizzutiano primo passo del nostro periodico verso una più ampia trattazione di argomenti vari, inerenti alla cultura del terzo millennio, pervaderci d’un sentimento somigliante a uno stato di pacificazione interiore. Volevamo rispondere allo statuto e al programma della Fondazione in maniera concreta, non limitandoci a parlare sui quaderni solo di Pizzuto, ma dando parola a qualunque coinvolgente argomento suscitatore questa o quell’arte specifica, attraverso cui l’intelletto riesce ad appropriarsi delle qualità, accessibili allo stato umano. Questi voti ci sembrano in adempiersi a partire dal presente Terzo quaderno.
I curatori
****************************
L’indefinibilità del libro
di
ANTONIO COSTA
L’indefinibilità del libro, forse è questo, al di là dei vari percorsi possibili, il tema di fondo delle immagini della serie “il libro” di Nosrat Panahi Nejad. Come ogni cosa viva – ha scritto Robert Escarpit – il libro è un oggetto indefinibile. Secondo il sociologo francese, tecniche di fabbricazione, intenzioni e usi, pur utili a definirlo, conservano una loro autonomia, interagiscono tra loro, si modificano nel tempo: trascendono l’oggetto, senza lasciarsi catturare da esso. In quanto oggetto tridimensionale c’è una plastica del libro. In quanto oggetto che si dà allo sguardo c’è un’iconografia del libro. In quanto oggetto complesso c’è una nomenclatura del libro. Altezza, forma, occhio, corpo dei caratteri, copertina, risguardo, occhiello, frontespizio, dorso dei volumi. Formati: in folio, in quarto, in ottavo, in sedicesimo. Parole, numeri: in oscillazione tra riferimenti al corpo umano e riferimenti al processo di fabbricazione. Le immagini di Nosrat Panahi Nejad fissano ora l’aspetto tattile, ora l’aspetto figurativo, ora le tecniche di fabbricazione, ora funzioni e usi: la grana e lo spessore della pagina; le forme dei caratteri, l’impaginazione, le tavole, la copertina; simbolismi grafici e iconologia; il libro come “istituzione” e il libro come oggetto di consumo. In tutti i casi il libro si mostra come soglia. Leggere un libro significa appunto varcare una soglia: entrare nell’universo del testo di cui il libro in quanto oggetto è insieme il custode e la promessa. Il libro in quanto oggetto convive con altri oggetti. In quanto immagine con altre immagini. Come già in precedenti serie, la fotografia di Nosrat Panahi Nejad è il luogo d’incontro di differenti scansioni temporali. Il tempo del libro e il tempo del soggetto. Il libro e il corpo. La scrittura e la voce. Il nome dell’autore e il nome dell’attore: l’emblematica citazione di Carmelo Bene ci ricorda una dimensione della scrittura oltre lo spazio del libro. I gesti che si fanno per leggere un libro. I luoghi dove si fabbricano i libri. E i luoghi dove si conservano i libri. I luoghi dove il libro si fa corpo. E i luoghi dove il corpo indugia alla soglia del libro. E’ sempre al punto d’incontro di differenti dimensioni che si afferma la natura del libro come oggetto indefinibile.
**********************************
DI SOGLIA IN SOGLIA
La sequenza “il libro” di Nosrat Panahi Nejad
di
SALVATORE TEDESCO
In una delle immagini più suggestive della sequenza, vediamo un frammento di una fotografia, con una grande cornice bianca, quasi all’angolo dell’immagine un libro aperto; su questa, è inserita un’altra immagine: un dipinto rinascimentale, con dei personaggi, forse angeli, un grande evangeliario aperto sul Magnificat, e mani che si muovono sul libro, tema che ritorna in innumerevoli altre fotografie della sequenza; a tagliare, trasversalmente, una piccola edizione economica della Bibbia, aperta su Geremia. E’ uno dei set più indicativi della poetica di Nosrat Panahi Nejad: scena rigorosamente conclusa e struttura genetica per infinite altre immagini, variazioni, montaggi; teatro, Wunderkammer barocca, in cui le immagini vengono a raccontare la loro storia naturale. In un’altra fotografia, quasi ad apertura della sequenza, è ripresa l’immagine di un libro in caratteri cufici, ed inserita in una sorta di natura morta. Tutti gli elementi che ci vengono presentati, gli strumenti del tipografo, in primo luogo, le varianti grafiche e decorative, persino la videoscrittura al computer, non tendono mai a darci la storia documentaria del libro, ma ci danno, nella specie del libro, una straordinaria reinvenzione della storia naturale dell’immagine, della sua costruzione, della sua lettura, della sua stratificazione e riuso. Si tratta di una composizione della figura fortemente caratterizzata dal legame fra il momento della strutturazione (formazione astrattiva, combinatoria) e quello dell’argomentazione nella forma del racconto. La struttura percettiva, in quanto tale, in quanto racconto di sé, nella sua formazione, si propone come argomentazione, come messa in opera di una poetica. Ma qual è la ragione, l’intenzione, la profondità, di questo racconto? Veniamo guidati dalla rifigurazione poetica a ridosso della tettonica dell’immagine, della giustaposizione di spessori fisici e del vissuto, della sua storia, della sua specifica durezza, opacità e impenetrabilità, di soglia in soglia, possiamo dire con Paul Celan;una ragione costruttiva che non ha altra logica che quella della struttura percettiva che on lei si origina, né altra intenzione stilistica che quella del racconto di se stessa. Da questo, nel più vertiginoso gioco combinatorio e nella più libera associazione degli elementi costruttivi, la sensazione di assoluta limpidezza formale e direi trasparenza e leggibilità. –La metafora del mondo come il libro e l’antica parentela fra creazione, invenzione e scrittura- Ma ripeto ancora: giustapposizione di spessori fisici e del vissuto; non si tratta mai di una connessione a freddo di “cose da vedere”, ma di un lavoro nella logica del materiale, nella densità della storia del libro e dell’immagine chimica fotografica, nella stratificazione del vissuto, nella consonanza profonda fra il repertorio della memoria e l’invenzione combinatoria. Scenario, “camera delle meraviglie” di una barocca storia naturale dell’immagine, la fotografia di Nosrat ci invita a muoverci nel suo spazio metaforico, che è quello di una nettissima critica della concezione dell’opera come organismo, ed è lo spazio dell’invenzione combinatoria e del racconto.
***********************************
di
ANDO GIRALDI
Mi vanto di avere capito per primo, molti anni fa, che questo fotografo persiano è bravo intelligente e motivato soltanto fotograficamente: nel senso che non usa la fotografia per certi motivi, ma il suo solo motivo è usare la fotografia. Disgraziatamente questa non è la regola ma l’eccezione, perché i più usano la fotografia per fare la rivoluzione, o per impedirla, o per illustrare altra cosa: insomma, per loro la fotografia è un mezzo. Per Nosrat Panahi Nejad è l’unico scopo, o almeno mi pare così. Naturalmente gli interessa anche il soggetto, “un” soggetto, ma mi ricordo di molte sue opere dove il soggetto era solo la fotografia…
************************************
“IL LIBRO” di NOSRAT PANAHI NEJAD
di
MARIA PIZZUTO
La musica, la più informale delle arti attraverso i temi musicali molteplici,si assolve completamente riconoscibile mediante lo stile del compositore. I molti rivoli tematici somigliano a un fiume al suo delta che, perde la propria identità fluviale separandosi in innumerevoli percorsi che cercano la via verso il mare per fondersi con la grande acqua.
Questo punto di fusione del fiume col mare, trova nel delta il suo stile inconfondibile così come una sinfonia, ricca di temi diventa in assoluto riconoscibile all’orecchio quando percorsa dallo stile che la fa unica. Non è a tutti dato raggiungere un proprio stile e, il più delle volte tentativi falliti ci pongono di fronte ad opere di scarso valore in quanto raccontano dei fatti, razionalizzandoli, senza però riuscire a comunicarci la presenza, il fantasma, con valenza di firma inconfondibile dell’autore. Sono quelli che nel comune gergo quotidiano vincolano le loro intenzioni come l’autore di una lettera rimasta al “Carissimo amico”, priva di corpo, priva di firma. Pur prospettandosi l’eventuale completamento della missiva con comunicazioni e sviluppi vari, questa rimarrà incompiuta, irrealizzata, non firmata. Un’occasione perduta, come accade allo stuolo di tanti infingardi pseudo intelligenti. La lettera a cui simbolicamente accenniamo significa un’eccellente riuscita per comunicative nel campo dell’arte, trasfusa di qualitativa originalità. Significa l’affrancamento da un passato proxsimo deteriorato e ormai senza valore), per un decollo verso un futuro colmo di nuove caratteristiche e nuove tendenze, nel rinnovamento dei temi, presenti, solo talvolta in apparenza ripetitivi in quanto estinguersi in uno stile per approccio al mare più grande d’un’arte fornita d’un nuovo codice genetico intellectuale: vera e propria zampata riconoscibile d’un leone. Quanto permesso, per parlare del carattere di ogni immagine uscita dalla molteplice sensibilità di interessi propria a Nosrat Panahi Nejad, il quale è riuscito a dotare la propria attenzione di qualità stilistiche ineccepibili. La sua maniera di ricevere, puntualizzare, elaborare suggestioni visive, valere come firma riconoscibile d’una “lettera” venuta a compimento in favore del “ Carissimo amico”. Questo terzo quaderno dedicatogli, cui titolo: “Il libro”, consta di tante immagini. E, osservandole, sorprenderci come una raffica di vento, tanto improvviso da mozzare il fiato. Mente e cuore all’unisono percorsi da un pensiero – sentimento loro trasmesso attraverso le molte artigianali suggestioni di antichi tornii, di caratteri gotici elaboratissimi ed ordinati per scala di grandezza, di testate con titoli celebrativi d’illustri scritture. Vi sono inoltre foto di tastiere e di spartiti , identificabili sul pentagramma, aventi lo stesso peso di parole accessibili; di queste noi depositarii attraverso quel rimanente culturale in cui l’accurato indice, con dovizia conclusiva informarci per immagini di tutte le vicende d’un cosmico ciclo, già trascorso. Un rimpianto vi si avverte per quanto concerne questo libro Gutenberg, di tutto quel patrimonio artigianale di cui la sofisticata tecnologia attuale è venuta a privarci in questi conclusivi giorni del millenni. Ciò in quanto la cura e l’attenzione riservata a un mondo in divenire, basato sulla ruota, sul legno, sugli ingranaggi minuti con cui la mano dell’uomo deve lottare e misurarsi, sostituite ormai da impulsi elettronici, pur se eccellenti, molto più astratti.
Se Nosrat Panahi Nejad serbi una sorta di struggimento intimo per la professione del copista amanuense, non c’è dato sapere; ma, certo indicativa la costante di fotografare la propria mano a contatto con gli oggetti che intende ritrarre. Sul libro “Così” (inedito Pizzutiano, edito quest’anno dalla Polistampa di Firenze, per volontà della Fondazone Antonio Pizzuto), la copertina si fregia di un’immagine pervasa di umana volontà e di un profondo senso del “sacro”. Quest’impronta, è data dalla mano di Nosrat sostenente un libro aperto il cui testo in persiano, attraverso la poesia di Sàdi, emana i valori della dottrina tradizionale dell’antico Iran. Orbene, non l’unico egli a estendere ispirata attenzione a mano e mani per suggerire attraverso queste messaggi. Ma l’uso fatto da Nosrat della sua propria mano include insieme di significati specifici: soprattutto, una sorta di dominio: l’oggetto mostrato all’attenzione altrui, esaltandone con religiosità caratteristiche che lo qualificano prezioso frutto dell’intellecto umano. Lo stile impresso dall’immagine delle mani di Nosrat, si alterna in un’altalena di possessività gelosa dell’oggetto fotografato, ma nel contempo resta espressione somma di una generosa sollecitudine evidenziantelo, per porgerlo a noi in tutta la venerazione che l’oggetto stesso a suo avviso, sembra meritare. Le sue iconografie, ingegnose, gèmine, fiorite, dichiarano mitezza sensibile d’un artista nel porgerci la sua interpretativa volontà di metterci a conoscenza – come lui stesso conoscerlo – dell’oggetto quale forma, ma soprattutto espressione nell’umana continuità d’una presenza imponderabile. Fatta di contenuti sottili, questi divengono simboli del tutto suoi propri, talchè, seppur da altri usati è a lui che corre il pensiero, come a un creatore, a u codificatore d’arte.