Quaderni Pizzutiani – 6/7/8

999
di Maria Pizzuto

di Gualberto Alvino

NOVA ET VETERA

Io intendo seguire le vie dei nostri padri, ma non ricalcare
le orme altrui; […] mi piace l’imitazione, non la copia;
e un’imitazione non servile, nella quale splenda l’ingegno
dell’imitatore, non la sua cecità o dappocaggine;[…].
Voglio una guida che mi preceda, non che mi tenga legato a sé.

F. Petrarca, familiares

Anni luce separano Assolo di tromba, opera prima e fin qui unica di Maria Pizzuto, da questi versi che, se ai leggeri parranno – com’è facile profetizzare – soverchiamente tributari del magistero paterno o, per dir tutto, irreparabilmente inficiati da pizzutismo del massimo grado (s’intende il Pizzuto estremo, prosciugato, leggendariamente impenetrabile dell’ultima stagione pagellare), è certo che i puri di sguardo, vinto il raccapriccio dell’impatto iniziale, non esiteranno a giudicare di sommo interesse: sia per il valore intrinseco, già a prima scorsa flagrante e inconcutibile, sia soprattutto per la distanza – essa pure siderale – che li allontana dai canoni più celebrati dell’attuale poesia proiettandoli in un territorio vergine, mai finora esplorate, felicemente solitario, senza confronti nella tradizione lirica non solo italiana. Ed è stupefacente che a un tale risultato la poetessa siciliana approdi – dopo quasi mezzo secolo di laboriosità non meno tacita e schiva che perfetta ( ma si vorrebbe dire disarmante) ordinarietà. Basti l’individuo eponimo a rappresentarla compiutamente:

 

Come un assolo di tromba

in un blues, ho innalzato

il mio grido nel silenzio.

Io, che bevo succhi di frutta,

piangente come antico negro

ebbro di whisky, per le strade di New Orleans.

Pianto accorato d’ubriaco di dolore

Quest’assolo di tromba

Non vi ha spezzato i timpani

Come quando il solista improvvisa

Nella sala gremita.

Il mio grido non trova ancora risonanza

Ed io piango per voi che vi uccidete, vi nutrite di sangue,

inzuppati di droghe, di alcool, di impurità,

gli occhi bendati alla luce.

 

L’inventario tematico è presto compilato: poesia come incontenibile felicità nervosa, slancio vitalistico, energia del tono vitale, ma soprattutto confessione plenaria, atto d’accusa, esibito tormento morale d’un genio titanico e ribelle scagliato anima e corpo contro un’umanità corrotta, decaduta, ormai sorda ai richiami dello spirito, eppure disperatamente amata. Dal rispetto stilistico: trionfo dilagante del primo pronome, con la carica enfatica e gli eccessi emotivi che ne conseguono; assoluto disinteresse per i valori formali (la pur complessa apparecchiatura retorica posta in campo rimbomba artificiosa e convenzionale) a pro d’un ansia comunicativa che si vorrebbe sincera e appassionata, ma non riesce a dissimulare la propria indole narcisistica e compiaciutamente letteraria.

Nulla che dia menomamente a presagire gli sviluppi futuri, e si dica il controllo maestoso e sicurissimo, l’avvolgente fascinazione mèlica sprigionata da momenti di rara grazia […]

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DI ANDO GIRALDI

Da Progresso Fotografico, aprile 2001

“999”

DiAntonio Pizzuto, lo scrittore siciliano troppo minore nella fama alla sua reale importanza, e della Fondazione dedicata al suo nome, e dei quaderni della Fondazione voluta e diretta dalla figlia Maria, e del bravo fotografo Nosrat Panahi Nejad curatore della Fondazione e illustratore dei Quaderni, abbiamo già parlato in questa rubrica. Oggi torniamo a segnalare, e a raccomandare, questo sostanzioso volume dei numeri 6-7-8 dei Quaderni, che è un esempio del genere di quel Libro Perfetto che per me è composto dalla Poesia e dalla Fotografia quando reciprocamente si ispirano. I versi eccellenti, in questo caso, sono di Maria Pizzuto, e le fotografie sono di Nosrat Panahi Nejad. Maria Pizzuto ha già firmato un altro volume di poesie, “Assolo di Tromba”, pubblicato dall’editore Cappelli di Bologna nel 1955. Ritorna adesso dopo un silenzio di mezzo secolo, e ritorna alla grande. Del fotografo Nosrat abbiamo già scritto un gran bene fin dalle sue prime opere di vent’anni fa e non resta che ripetergli il nostro plauso: le sue immagini sono mentali, concettuali; un genere che si incontra di rado nell’Arte della Fotografia, e nel quale Nosrat è abile: ha gusto e fantasia ma la migliore qualità è quella di una totale sincerità e coerenza. Nosrat fotografa per rappresentare, al di là di quello che vede nell’inquadratura, quello che sente nella coscienza. Le sue fotografie non sono facili da capire: sono immagini geroglifiche dall’apparenza solo decorativa fino a quando non si impara a decifrarle. Il giudizio, a nostro parere, vale pure per Maria Pizzuto: anche le sue poesie sono “geroglifiche”e bisogna imparare a decifrarle : Maria Pizzuto usa ovviamente parole, ma solo per saltare al di là dei loro significati. Insomma, è una bravissima ermetica della tradizione, molto molto piacevole. Potrei ora starmene zitto, eppure non riesco a tacere che non sono d’accordo con il suo presentatore, Gualberto Alvino, che sbracciandosi troppo, forse solo per pura amicizia, non le rende servizio esprimendo la preoccupazione che i suoi versi possano sembrare “… soverchiamente tributari del magistero paterno o, per dir tutto, irreparabilmente inficiati da pizzutismo del massimo grado, s’intenda il Pizzuto estremo, prosciugato, leggendariamente impenetrabile dell’ultima stagione pagellare …”. Poi rincara la dose aggiungendo che tuttavia “ … è certo che i puri di sguardo, vinto il raccapriccio dell’impatto iniziale, non esiteranno a giudicarli (i suoi versi) di sommo interesse: sia per il valore intrinseco, già a prima scorsa flagrante e inconcutibile, sia soprattutto per la distanza, essa pure siderale, che li allontana dai canoni più celebrati dell’attuale poesia proiettandoli in un territorio vergine, mai finora esplorato, felicemente solitario, senza confronti nella tradizione lirica non sono italiana.” Balle! Il lettore di questa rubrica di Fotografia mi perdoni se traligno dal mio terreno, dove già so rendermi troppo antipatico, ma ho tante volte lagnato l’incompetenza dei prefatori dei fotolibri di bravi Fotografi, che può essere di conforto, anche se amaro, non perdere l’occasione di notare che qualcosa di simile capita anche ai Poeti. Un bravo fotografo fotografa dopo aver visto e studiato centinaia di fotografie altrui; come un bravo Poeta scrive i suoi versi dopo averne letti migliaia di altri Poeti. Ma nelle Arti in genere, e nemmeno volendolo disperatamente, nessun creativo riuscirebbe a lavorare “… in un territorio vergine, mai inesplorato, senza confronti …”. E quando l’incosciente si illude che le sue opere non nascano da quelle degli altri, significa che più di tutti ne è tributario e proprio perché non sa di esserlo. In altre parole: significa che può anche essere bravo però resta ignorante. L’Arte, tutta, ma quella della Poesia specialmente nasce dall’Arte. I Fiori nascono dai Fiori: Maria Pizzuto è tributaria al magistero paterno, come il grande poeta siciliano suo padre Antonio Pizzuto è tributario ai grandi poeti del Novecento. E questi a quelli dell’Ottocento. E questi a quelli del Settecento. E così a salire all’indietro fino alla Notte dei Tempi.